Libia e Iraq, i dati sulle importazioni Ue di petrolio
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L'Italia non può fare a meno del greggio libico. E cresce anche l'import dall'Iraq. La Francia invece ora guarda all'Arabia. La Gran Bretagna a Nigeria e Algeria.
di Giovanna Faggionato | 29 Agosto 2016 Lettera43
La notizia era attesa in molte capitali europee e a Roma in particolare.
Dopo 10 mesi costellati di vaghi annunci su una ripresa della produzione petrolifera mai realizzata, il 18 agosto la National oil corporation, la società energetica libica, ha spiegato di aver avviato il primo carico di greggio dal terminal di Zuitina.
L'iniziativa è il primo effetto dell'accordo tra il nuovo governo di unità nazionale e le milizie che controllano i pozzi della costa vicino a Bengasi, arrivato ironia della sorte poche settimane prima del voto di sfiducia del parlamento all'esecutivo unitario. E sembrava essere il primo segnale di un lento e complesso ritorno della Libia nello scacchiere energetico continentale.
LE VICENDE PARALLELE DI BAGHDAD E TRIPOLI. L'ex colonia italiana, dove oggi si ammaina la bandiera dello Stato islamico sventolante su Sirte, sotto la dittatura feroce del raìs Muhammar Gheddafi era tra i principali rifornitori di greggio delle maggiori econonomie europee: Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna. Oggi, con la produzione crollata da 1,6 milioni di barili al giorno ad appena 330 mila, quelle forniture sono state in parte sostituite.
Mentre Tripoli piombava nella guerra civile e sotto la minaccia dell'Isis, l'Iraq è tornato a fare lauti affari con l'Occidente. Dopo la guerra inventata per deporre Saddam Hussein e la successiva ascesa e parziale sconfitta del Califfato islamico che puntava alla presa di Kirkuk, la città con i più importanti pozzi della nazione, Baghdad ha ripreso i suoi rapporti commerciali privilegiati con gli Usa, ma anche con diverse nazioni europee, Italia inclusa.
LA DIPENDENZA ENERGETICA DA PAESI NEL CAOS. I due Paesi in cui oggi si combatte Daesh forniscono una buona fetta delle nostre importazioni energetiche. Nel 2008 più di un terzo dei prodotti petroliferi importati dall'Italia provenivano dalla Libia e dall'Iraq non ancora restituito agli iracheni, dove le milizie islamiste e i gruppi legati ad al Qaeda stavano prepotentemente tornando a reclamare il potere.
Le cifre emergono dalle elaborazioni del Cambridge Economic Center per il rapporto sulla dipendenza energetica dell'Ue commissionato dalla rete di associazioni per lo sviluppo sostenibile Transport and environment pubblicato a luglio 2016.
Ripercorrendo gli ultimi 15 anni del commercio energetico del Vecchio continente, lo studio snocciola dati preziosi sulla portata economica della messa in sicurezza dei pozzi iracheni e di quella attesa dei pozzi libici.
La dipendenza dell'Ue dal greggio è aumentata negli ultimi 15 anni fino ad arrivare a una quota di importazione dell'88%.
Con un conseguente investimento superiore di 250 miliardi di euro.
Di questo copioso flusso di denaro oggi beneficiano soprattutto le compagnie russe. E in alcuni casi, Francia in primis, le società saudite.
E però per anni sullo scacchiere energetico europeo la Libia ha giocato un ruolo cruciale ed esteso ben al di là dell'Italia, portando profitti soprattutto alla nostrana Eni.
FINO AL 2010 LA LIBIA RIFORNIVA MEZZA UE. Nel 2009, due anni prima della ribellione contro Gheddafi, lo Stato nordafricano era il principale fornitore di greggio dei Paesi Ue, grazie anche alla notevole qualità della materia prima. Ma anche considerando l'intera fetta dell'import petrolifero, e includendo quindi pure la quota di prodotti raffinati, l'import dalla Libia rappresentava il 3,9% degli acquisti britannici, l'8,6% di quelli tedeschi, il 9% di quelli francesi e greci, il 10% degli spagnoli. Ma Tripoli forniva anche il 15,8% delle importazioni austriache, il 19,2 di quelle irlandesi e addirittura il 27,1 di quelle italiane.
Fino alla rivoluzione e alla guerra in Libia, il trend aumenta progressivamente. A meno di 12 mesi dalla caduta del raìs, Parigi importava dalla mezzaluna petrolifera libica, il semicerchio di costa tra Sirte e Bengasi, il 10% di tutti i suoi prodotti (una percentuale che aumenta al 16,1 se si considera solo il greggio) e la Gran Bretagna il 6,1%.
Il caos nel Paese ha fatto crollare la produzione e ha lasciato a secco l'Europa: nel 2011 l'import italiano, il più importante, si era ridotto al 6%. E nonostante l'Eni abbia mantenuto, unica società straniera, la sua presenza in loco per tutto il periodo post conflitto, molte capitali hanno girato lo sguardo altrove.
PARIGI ORA GUARDA ALL'ARABIA SAUDITA. La Gran Bretagna oggi importa soprattutto da Norvegia, Algeria e Nigeria. L'approvvigionamento francese dipende per oltre il 21% dal regime dell'Arabia Saudita.
Parallelamente è cresciuto quello da un altro Paese sotto la pressione dello Stato islamico: l'Iraq, quarta nazione al mondo per riserve di oro nero.
Se nel 2010 l'Italiaimportava da Baghdad l'11,8% del suo greggio, nel 2014 - ultimo anno per il quale sono disponibili le rilevazioni - la quota è arrivata al 12,2% e per la Grecia addirittura al 37,7%.
E dopo la parziale sconfitta del Califfato in marcia su Kirkuk, nel gennaio del 2015, e gli accordi con la popolazione curda che controlla alcuni oleodotti, la produzione irachena continua a crescere. Il 21 agosto è stata annunciato un nuovo aumento del 5%: 150 mila barili in più che si vanno ad aggiungere ai 4,7 milioni di media del 2016.
Roma e Atene,tuttavia, rimangono comunque dipendenti dalla Libia per l'8 e il 5,8 % dell'import di greggio.
E l'una e l'altra importano più di un quinto e più di un terzo della loro linfa petrolifera dai Paesi minacciati dall'Isis.
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