Ndrangheta, Criaco sull'evoluzione dell'organizzazione

'Ndrine, camorra, mafia? Adesso c'è soltanto una «multinazionale del crimine». Che muove miliardi e fa da stampella all'economia. Lo scrittore Criaco a L43.

di Francesca Buonfiglioli | 22 Luglio 2016 Lettera43

'Ndrine, locali, affiliazione. L'Aspromonte, quello di Platì o San Luca, Comuni di poche anime ma epicentri di una delle organizzazioni mafiose più potenti e temute al mondo.

La connivenza dei cosiddetti colletti bianchi, degli imprenditori corrotti che fanno affari con questa piovra. E della politica, come sembra dimostrare - se mai ce ne fosse ancora bisogno - l'ultima operazione che ha portato a 42 arresti tra Reggio Calabria e Genova, dove le cosche avevano messo le mani su appalti pubblici milionari, tra cui il Terzo Valico.

E, infine, l'alleanza con i narcotrafficanti con cui si domina il mercato della droga, cocaina soprattutto.

Un racconto, o storytelling per usare un termine di moda, che però ha dei limiti.

L'ETICHETTA DELLE MAFIE. Come la camorra o Cosa Nostra, ormai anche la 'ndrangheta è diventata una «etichetta», funzionale più che alle indagini, a tratteggiare il fenomeno dal punto di vista «antropologico e storico».

A parlare è Gioacchino Criaco, originario di Africo, che la 'ndrangheta l'ha toccata e l'ha raccontata (anche) nel suo Anime Nere.

«Per sentirci più tranquilli», dice a Lettera43.it, «cerchiamo di riportare questi fenomeni in ambiti territoriali e a gruppi limitati». Un atteggiamento «consolatorio» che però non restituisce la realtà attuale.

«Abbiamo bisogno di mettere un volto al posto del mostro perché ci rassicura», aggiunge. «In realtà siamo davanti a un sistema criminale vastissimo».

IL PRIMATO DELLA FINANZA. La prospettiva va cambiata, secondo Criaco. Pensare di combattere la 'Ndrangheta come fenomeno calabrese, esclusivo del Sud, è riduttivo. «Bisogna seguire i soldi, i flussi finanziari. Perché centinaia di miliardi non stanno nelle valigette o nei materassi».

Per questo l'arresto del super latitante Ernesto Fazzalari, quello dei presunti fiancheggiatori dei boss Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, e il sequestro di 11 tonnellate di cocaina a Reggio sono sì tre sberle che lo Stato ha piazzato all'organizzazione, ai quali però bisogna dare il giusto peso. «Fazzalari era considerato il secondo criminale più pericoloso d'Italia per i 20 anni di latitanza. Molto probabilmente era legato al territorio, ma dubito avesse molta voce in capitolo sui traffici e sui miliardi che si muovono ogni giorno».

Allo stesso modo il maxi sequestro di 11 tonnellate di coca, per un valore sul mercato stimato di 3 miliardi, «non è stato avvertito sulle piazze dello spaccio».

E questo vuol dire banalmente che la coca e i soldi continuano a girare.

In altre parole: la vittoria è locale, ma la guerra da combattere è globale.

 DOMANDA. Queste operazioni sono efficaci?

RISPOSTA. Il problema, al di là della piega che prenderanno le indagini, è che si insiste troppo sulla filiera italiana-calabrese della redistribuzione della droga, in realtà ci si concentra poco sulle fonti di approvigionamento. I calabresi, per quanto siano bravi, non hanno in mano la materia prima.

D. Il rapporto con i narcos ormai è appurato. A Platì avrebbero soggiornato alcuni colombiani...

R. Da un trentennio è comprovato che il traffico di cocaina è controllato dai calabresi. Ma c'è ancora molta confusione...

D. In che senso?

R. Ho lavorato in uno studio legale e mi sono reso conto che nella maggior parte delle operazioni svolte a Milano, l'accusa di associazione mafiosa è quasi sempre caduta.

D. E questo cosa significa?

R. Che siamo davanti a grandissimi trafficanti calabresi, ma il fatto di essere calabresi non corrisponde automaticamente a essere affiliato alla 'ndrangheta.

D. Bisognerebbe dimostrarlo...

R. Sì. E poi non è necessario essere 'ndranghetisti per essere grandi trafficanti. Forse si attribuisce all'organizzazione più potere di quello che realmente ha fuori dalla Calabria.

D. L'affiliazione dunque non è più così fondamentale...

R. Quello che conta davvero, al di là dell'etichette, è la capacità di muovere enormi quantità di droga, e di avere le risorse economiche, umane e logistiche per farlo. Lo dico non perché sposti di molto il problema, ma perché altrimenti si alimenta l'immagine della 'ndrangheta come onnipotente.

D. Non lo è?

R. Sarebbe meglio indagare per capire chi e come muove certi traffici. Ricordando che se si arresta un calabrese non è automaticamente un 'ndranghetista. Per esperienza processuale, posso affermare che non sempre l'equazione corrisponde al vero.

D. 'Ndrangheta calabrese, milanese, ora giuliana. Ma esiste una vera 'ndrangheta?

R. L'errore sta nel combattere i fenomeni criminali per compartimenti stagni. Le organizzazioni criminali sono molto più avanti di quello che pensiamo noi.

D. Più avanti in che senso?

R. La 'ndrangheta, come la camorra, ha origini territoriali ma oggi è una organizzazione che sta nel mondo. E soprattutto nelle società che hanno bisogno di mafia.

D. Come la Lombardia?

R. Non ci sarebbe una mafia a Milano se il tessuto sociale non ne avesse bisogno.

D. Cioè?

R. L'economia legale ormai funziona grazie a una serie di servizi illegali che possono fornire solo le organizzazioni criminali: dal lavoro nero all'offerta di grandi liquidità.

D. La famosa zona grigia?

R. I colletti bianchi, l'imprenditoria corrotta sono diventati tutt'uno con il mondo criminale tradizionale che era definito come 'ndrangheta, camorra o mafia.

D. E come dovremmo catalogarlo?

R. Ormai c'è un'unica grande organizzazione criminale che fa affari. Un mondo che sta tutto sopra. Questi criminali sono estremamente moderni, forniscono servizi.

D. E i rapporti col territorio?

R. Resta l'origine calabrese, così come resta la necessità di mantenere i contatti anche nel senso nostalgico del termine con la propria terra. Ma le organizzazioni sono un'altra cosa. Per sentirci più tranquilli cerchiamo di riportare i fenomeni in ambiti territoriali limitati, a gruppi limitati ma è solo un atteggiamento consolatorio: non è più così.

D. Perché ci rassicura?

R. Alla fine ne parliamo da 30 anni, sentiamo di conoscere chi sono. Abbiamno bisogno di mettere un volto al posto del mostro. In realtà siamo davanti a un sistema criminale vastissimo. Il fatto che i colombiani soggiornino a Platì o che i platiesi stiano in Colombia è il segno di un mondo che ormai si sposta ovunque.

D. Quando dalle 'ndrine si è passati alla multinazionale del crimine?

R. Lo snodo è stato negli Anni 90, quando abbiamo avuto risultati clamorosi sulle criminalità tradizionali. Sono state seguite le vecchie famiglie, ma chi nasceva e si formava in quel periodo proprio per svincolarsi da questa trappola è andato oltre. Una intera generazione di calabresi è stata annientata dalle indagini e da 20 anni è in carcere. Nonostante questo c'è stato un ricambio che ha decuplicato il proprio potere.

D. Quale è la via d'uscita?

R. Invece di cercare di debellare il fenomeno lavorando su locali e famiglie d'origine, bisognerebbe partire da dove si muovono i grandi capitali. Parliamo di un giro di centinaia di miliardi che per forza passano attraverso l'intermediazione finanziaria. Non esiste altro sistema, non è che li mettono nelle valigette o nei materassi.

D. La pista dunque è ancora il denaro, come già sostenevano Pio La Torre e Giovanni Falcone.

R. Finché queste organizzazioni sono in grado di muovere capitali enormi il fenomeno non si arresterà mai. Puoi mettere in prigione migliaia di persone e sequestrare tonnellate di cocaina, ma la situazione non cambia.

D. Cos'è rimasto della 'ndrangheta tradizionale in Calabria?

R. Poca cosa. La criminalità vera, che si richiama ai valori - tra molte virgolette - di quel mondo, non sta più là. Chi muove centinaia di miliardi non fa affari dove una economia non esiste. Li fa nei grandi mercati: a Milano, ad Amsterdam, a Barcellona, non certo in Calabria. Per questo bisogna arrivare a una svolta e ragionare in termini diversi. Le origini territoriali delle mafie servono a studi sociologici e antropologici. Per indagare meglio bisogna spostarsi sulle grandi piazze finanziarie.

D. Che significato hanno luoghi simbolo come Platì?

R. Questi criminali tornano a Platì o San Luca spinti dalla nostalgia. Ma anche per ostentare ricchezze, per arruolare nuove persone. Senza opportunità vere di lavoro, questi luoghi con una disoccupazione altissima continueranno a essere un serbatoio immenso di manodopera criminale. Dalla Calabria partono in centinaia, più che negli Anni 70. Probabile che una piccola percentuale di disperati finisca in certi giri. E più diciamo che la 'ndrangheta comanda il mondo, più i ragazzi saranno attirati da questa potenza.

Twitter @franzic76

Categoria Italia

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