Murano lotta per sopravvivere: “Travolti dalla crisi e dai falsari”

L’isola del vetro arranca sotto i colpi della concorrenza cinese. Appello al governo sulle tasse: serve una zona franca per ripartire

20/05/2016 GIUSEPPE BOTTERO La Stampa

Venini, realtà storica, dopo anni difficilissimi tra tagli e ammortizzatori, a gennaio è stata comprata dalla Damiani, ottavo gruppo al mondo nella gioielleria.

L’isola del vetro rischia di affondare. Travolta dalla recessione, minacciata dai falsi «made in China», strangolata dalle tasse, l’industria di Murano sta lottando per non sparire. È stata per oltre settecento anni il gioiello dell’artigianato italiano, da quando la Serenissima fece spostare tutta la produzione fuori dalla città perché Venezia fosse risparmiata dai fuochi. Ora chiede aiuto al governo: «La crisi, la concorrenza sleale e troppi costi stanno portando a morire le nostre imprese» dice Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Venezia-Rovigo. A inizio settimana l’associazione degli imprenditori si è presentata alla Camera dei deputati per chiedere di trasformare la città in una «zona franca», in modo da liberare le aziende dal carico fiscale. Potrebbe essere già tardi. 

I NUMERI DEL DECLINO 

I ricavi crollano a un ritmo del 12% annuo, in poco tempo sono sparite 125 imprese e altre 17 sono in bilico, i cinquemila dipendenti - praticamente l’intera città - sono diventati mille. Gli operai sfuggiti alla cassa integrazione, molti meno. «Sono stime per eccesso, tengono conto dei negozianti e dei loro addetti», dice l’imprenditore Daniele Mazzuccato. Per continuare a far viaggiare i lampadari per il mondo, dall’Iran alla Russia, tre anni fa è andato a vivere in fabbrica. «Troppe spese». Entri, e tra l’ufficio e i forni ci sono un letto matrimoniale, tavolo e tv. In maglietta e occhiali da sole mostra quello che resta di una realtà che fatturava 3 milioni di euro l’anno e ora 600 mila: «Eravamo trenta, siamo soltanto una decina e non riusciamo neppure a lavorare tutti i giorni. La notte cammino per il magazzino, mi viene da piangere». 

IL PATTO COI SINDACATI 

Mazzuccato, cinquant’anni, «un fascistone» dice di sé, combatte la battaglia del vetro nella «stessa squadra» di Riccardo Colletti, sindacalista Cgil. C’erano entrambi, all’inizio di aprile, a sfilare per le calli, i volti nascosti dietro una maschera bianca. «Siamo fantasmi», spiega Colletti. «Le istituzioni ci hanno lasciati soli. Sindacati e padroni hanno imparato a convivere». Gli stipendi sono in caduta libera, i giovani sempre meno. «Ma non si tratta di una crisi di vocazione. Manca l’offerta». 

Qualcuno guarda avanti. Venini, realtà storica, dopo anni difficilissimi tra tagli e ammortizzatori, a gennaio è stata comprata dalla Damiani, ottavo gruppo al mondo nella gioielleria. E la società Oikia 3 di Riccardo Invernizzi nel 2015 ha rilevato la Barovier&Toso, la vetreria più antica, confermando i manager e preparando il rilancio.

L’INCUBO DI BURANO 

Una gran parte dei lavoratori di Murano, però, è prigioniera dei ricordi, declina i verbi al passato, teme di finire come i «cugini» di Burano, dove i merlettai non esistono più, spazzati via dall’onda cinese. Basta una passeggiata su Fondamenta Vetrai: al numero 34 c’era un’industria, oggi il cancello è sbarrato. Di fronte, stesso film. Cento metri più avanti, al posto di un magazzino, dovrebbe nascere un hotel. Raccontano i commercianti che nelle case degli italiani, per vasi e centritavola, c’è sempre meno posto. Si comprano piccoli souvenir, ma non basta. «Ci sono tanti turisti e pochi soldi» riassume Gianni Cimarosto. «E troppi fanno i furbi, vendono i prodotti cinesi per abbattere i prezzi. Ci siamo tagliati le mani da soli». Tenere aperta la bottega è un gioco da equilibristi, «di notte mi sveglio ogni ora». 

La crisi ha radici lontane, ma la prima vera botta è arrivata nel 2002, quando sono stati cancellati gli sconti del 45% sul gas. L’altro grande problema sono i vincoli ambientali, considerati troppo stringenti. Anche se, spiega il vicepresidente della sezione vetro di Confindustria Luigi Lucchetta, la gran parte delle aziende s’è messa in regola, dopo investimenti importanti. Piuttosto, a spaventarlo, è il macigno da 6 milioni che gli imprenditori devono pagare all’Inps per una diatriba vecchia vent’anni. Soldi che, con gli interessi, potrebbero triplicare. «Eppure abbiamo sempre rispettato le leggi», dice. 

E poi c’è lotta impossibile contro l’industria del tarocco, soprattutto cinese. «Dall’estero copiano i nostri prodotti e li vendono a prezzi stracciati - prosegue Lucchetta-. Ci sentiamo impotenti». Tra chi vende e chi produce, spesso, i rapporti sono tesi. Ci sono stati sospetti su attività di riciclaggio, blitz della Guardia di Finanza.

«La contraffazione andrebbe combattuta a monte, quando le navi con la merce approdano in Italia, non solamente a singhiozzo, quando gli articoli sono nelle botteghe» propone il designer Stefano Dalla Valentina dalle pagine de «La Nuova». Complicato. Troppo tardi anche per quello? Sull’isola i più pessimisti aspettano già l’ultimo soffio. «Ho avuto offerte di lavoro dalla Slovenia, dall’Austria, dall’Iran - dice amaro Mazzuccato - ma sono rimasto, voglio vedere come andrà a finire. Io un’idea me la sono fatta. Basterà aspettare quindici anni, poi potremo dire: qui facevamo il vetro».

Categoria Italia

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata