Il giustizialista pentito

“Per me la legalità era un vessillo. Dopo 8 anni di processo ingiusto e un’assoluzione dico: che puttanata”. Cioni, ex assessore a Firenze, si confessa con il Foglio. “Non solo i magistrati: è un sistema che va cambiato”

Graziano Cioni (foto LaPresse)

di Annalisa Chirico | 13 Maggio 2016 ore 11:00

Graziano Cioni mi accoglie in un noto bar in piazza della Signoria. “Esiste forse un ufficio più bello?”, lo sceriffo di Firenze non ha perso l’ironia. Si accomoda sulla sedia, intrattiene i camerieri, poi alza lo sguardo e fissa la Torre di Arnolfo, in cima a Palazzo Vecchio, antica sede dei Priori delle Arti e culla del potere comunale. I’ Cioni, come lo chiamano qui, osserva i passanti, lancia un’occhiata su ambo i lati della piazza, poi punta il dito verso una stradina laterale: “In quel punto, di tanto in tanto, si piazzano gli ambulanti. Oggi non ci sono, meglio così”. L’aspetto baldanzoso di un tempo è solo un ricordo, i’ Cioni è un uomo ritratto nel corpo e nello spirito. “Viviamo un’autentica barbarie. Io ero un giustizialista convinto, che puttanata il giustizialismo. Per me la legalità era un vessillo assoluto, una bandiera. Le garanzie, la presunzione d’innocenza? Non mi ponevo il problema. Quel che un magistrato fa è giusto per definizione. La sinistra ha difeso i magistrati a prescindere dalla ragione e dal torto. Li abbiamo resi intoccabili”.

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Cambia todo en este mundo, cantava Mercedes Sosa. “Cambia tutto, è vero. Io sono cambiato, non so più chi sono. Quando ti capita una storia come la mia, che ti toglie il sonno e la salute, ti rendi conto che non si può ammazzare un innocente”. Cioni è stato deputato e senatore per tre legislature, nel solco del Pci-Pds-Ds, quando il Partito pretendeva la ‘p’ maiuscola. “Sarà stata pure ideologia, non lo nego, ma all’epoca il Partito era una famiglia, ti faceva commettere alcuni errori ma ti riempiva l’esistenza. C’era la passione per un’idea, l’ardore di chi voleva rivoluzionare il mondo, Ho-chi-min-min-min, Che-Guevara-che-che-che”. Cioni, torniamo all’oggi: dopo un’assoluzione in primo grado e una condanna in appello, la Cassazione ha messo la parola fine perché il fatto non sussiste. “Eppure per qualcuno resto un condannato. L’altra sera su La7 quel Di Battista, come si chiama, quello dei 5 stelle, mostra una piovra tentacolare che si estende sull’Italia intera. In corrispondenza della Toscana compare un nome, il mio, e accanto si legge condannato. Mi prende un colpo. Il conduttore non lo corregge. Li ho querelati. Non ci sto più a prendere schiaffi”.

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