Il Csm non si vuole riformare
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Ecco cosa (non) cambia nella magistratura organizzata
Una riunione del Csm
di Redazione | 23 Marzo 2016 ore 06:18 Foglio
La notizia buona è che il messaggio è passato, in qualche modo persino dentro il Csm: le correnti, nella magistratura italiana, sono diventate un problema. La notizia cattiva è che, malgrado le dichiarazioni e gli strombazzamenti, la tendenza del Csm – e della magistratura organizzata – è quella di mantenere queste entità, e anzi di creare nuovi e più complicati meccanismi che le garantiscano. E ci riferiamo sia alla proposta che la commissione per la riforma del Csm ha consegnato qualche giorno fa al ministro della Giustizia Andrea Orlando, sia al testo unico sulla dirigenza giudiziaria, relativo al conferimento degli incarichi direttivi nei tribunali e nelle procure, ormai in vigore da alcuni mesi. Ma andiamo con ordine. La premessa necessaria è che le correnti della magistratura hanno ormai da tempo perso il loro significato originario, cioè quel valore culturale, ideologico e di programma che un tempo distingueva le grandi categorie del centro, della sinistra e della destra. Oggi gli argomenti che distinguono Mi da Md, Area da Unicost, e così via, sono insignificanti e le correnti sono puramente centri di riferimento di potere personale e di spartizione lobbistica del potere. Spartizione tanto più opaca quanto ormai non più motivata da idee e da programmi importanti e seri. In questo contesto si inserisce la proposta di riforma del Csm che, invece di far piazza pulita delle correnti, individua un farraginoso, e forse poco intelligente, nuovo meccanismo di elezione.
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Per farla breve: doppio turno, il quadruplo dei candidati, un primo turno senza apparentamenti correntizi e un secondo turno esattamente uguale al sistema che è sempre esistito. Cosa cambia? Nulla. E’ solo tutto più complicato, più esoterico e di difficile comprensione (non soltanto per i non addetti ai lavori ma pure per gli stessi magistrati). Questa riforma, dovesse passare, si affiancherà al nuovo testo che già regola l’attribuzione degli incarichi direttivi, cioè il sistema con cui si scelgono i capi delle procure e dei tribunali. Un sistema che ha aumentato il potere discrezionale del Csm, e dunque il peso delle correnti: ha inserito criteri di valutazione che prescindono del tutto dall’esperienza direttiva, ha valorizzato eventuali esperienze di lavoro di magistrati che non hanno mai fatto il direttivo (esempio: distaccati presso i ministeri o con esperienze politiche), ha introdotto criteri così elastici da smentire il principio che avrebbe dovuto ispirare le nuove regole.
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