Referendum: ci mancavano anche le toghe in campo
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Magistratura Democratica aderisce al comitato per il NO. «La riforma, in sinergia con l'italicum, è una involuzione della macchina dello Stato»
di Luca Rinaldi, linkiesta 13 Gennaio 2016 - 16:20
«Magistratura democratica aderisce al Comitato per il NO nel referendum costituzionale sulla legge di riforma Renzi - Boschi». Si ingrossa il fronte del No al referendum costituzionale, e si arricchisce di una parte non banale dell’architettura istituzionale del Paese, cioè una parte della magistratura.
Insomma, una parte dello Stato, nello specifico il governo, intende mettere mano alla Carta costituzionale. Un’altra invece, o meglio, un pezzo di un’altra dice che con quella riforma «è in gioco l’architettura democratica della Repubblica. La riforma, in sinergia con la legge elettorale ormai nota come “Italicum”, non ammoderna la macchina dello Stato; a nostro avviso ne determina, al contrario, una pericolosa involuzione».
Un attacco che arriva dalla corrente di sinistra della magistratura, che segna una linea di rottura con il Pd renziano e una discesa in campo al fianco di un fronte ampio e articolato, anche troppo: da Rodotà a Zagrebelski, passando da Fassina, Civati e gli ex magistrati Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia, finendo addirittura dentro Forza Italia e Lega Nord.
Magistratura Democratica
Lo scorso ottobre il ministro Maria Elena Boschi, di il disegno di legge costituzionale porta il nome, proprio al Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati difese l’operato del governo: «Non si possono fare riforme senza stabilità del governo». Proprio questa stabilità mette in allarma i togati di Md: «Si introduce una concezione semplicistica e formale della democrazia, in base alla quale chi vince prende tutto». Gli stessi magistrati in sede del Congresso Nazionale dell'Anm non mostrarono grande condivisione sui progetti del governo, in particolare riguardo le norme su intercettazioni e responsabilità civile.
Tutti d’accordo dunque nel mondo delle toghe? No, perché il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Giovanni Legnini ha pochi dubbi: lui al ddl Boschi direbbe «sì senza problemi». Una presa di posizione comunque nell’ordine delle cose, dal momento che Legnini, consigliere laico del Csm è stato con Renzi prima sottosegretario all’economia e poi nominato allo stesso Csm proprio in quota PD.
In questo momento storico la magistratura ha perso la fiducia dei cittadini. Solo il 30% degli italiani, stando a un sondaggio Demos pubblicato da La Repubblica, ha dichiarato di avere fiducia nei togati e nel sistema giustizia. Una fiducia ai minimi e su cui si gioca anche parte della comunicazione: come scrive Marco Sarti qui su Linkiesta, se davanti agli italiani il governo riesce a presentarsi come il partito del cambiamento, a loro spetterà il ruolo mediatico dei conservatori. Peggio, dei difensori della casta. E Magistratura Democratica, con una parte della magistratura, potrebbe fare le spese di questo schema.
Un rischio che Md cerca di dribblare: «Il no al referendum non è dettato da inerzia e conservazione, ma da volontà di riforme che si collochino nel solco di un rinnovamento reale e democratico delle istituzioni per l’estensione della partecipazione e della coesione sociale, per la tutela dei diritti fondamentali, per una democrazia sostanziale e veramente efficiente».
Dalle altre correnti dei togati, fino ad ora, non ci sono ulteriori prese di posizione riguardo il referendum. Certo non è escluso che nei prossimi mesi si arrivi a uno scontro più acceso tra governo e una parte della magistratura, che pur sempre rimane un potere dello Stato. Uno scontro su quello che, va ricordato, non è un referendum sulla figura di Matteo Renzi, ma sulla stessa fonte primaria del diritto in Italia, la Costituzione, che la stessa magistratura ha il compito formale di applicare.
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