I crimini dei richiedenti asilo? Censurati "per la pace sociale"

Forze dell'ordine invitate a non diffondere le generalità dei rei Si vuole garantirne la riservatezza, ma così si discriminano gli italiani

Nadia Muratore - Ven, 23/10/2015 - 08:00 Il Giornale

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Il politicamente corretto imbavaglia le forze dell'ordine e crea disparità tra i cittadini. Almeno per quanto riguarda la divulgazione di certe informazioni di reato.

Se infatti la prassi vuole che siano le stesse forze dell'ordine a fornire agli organi di stampa la notizia di un'indagine che ha portato alla denuncia o all'arresto di una persona, questo non accade quando il responsabile del reato è un richiedente asilo. Se il fatto di cronaca non è eclatante e può «passare in sordina», allora la notizia viene taciuta. Censurata. Così, se a rubare o a spacciare stupefacenti è un cittadino italiano, l'indagine diventa di dominio pubblico, con tanto di riferimento alle generalità del reo. Diverso invece è il trattamento se chi delinque ha in tasca una richiesta di status di rifugiato. Il perché è presto detto: interpretando alla lettera la legge sulle disposizioni in materia della richiesta di asilo - che rientra nel Testo Unico dell'Immigrazione - una persona che si trova nello «status» di richiedente dev'essere tutelata. Basandosi sul presupposto che chi chiede protezione in uno Stato diverso dal suo ritiene di essere in pericolo di vita, renderne pubbliche le generalità e il luogo di residenza, potrebbe mettere a rischio la sua incolumità in Italia e anche creare dei problemi di sicurezza alla famiglia, che magari è rimasta nel Paese di origine. Un riserbo che viene mantenuto anche se il richiedente è coinvolto in una operazione di polizia.

Ci troviamo quindi di fronte a un garantismo all'ennesima potenza che può anche essere comprensibile, ma che di fatto porta ad una disparità di trattamento tra italiani e rifugiati, accolti in Italia e in attesa di essere regolarizzati. Una disparità di trattamento che viene giustificata osservando che, in uno Stato di diritto come è quello italiano, nessuno è colpevole fino al terzo grado di giudizio. Per questo le forze dell'ordine sono invitate a non divulgare notizie di operazioni di polizia in cui vi siano coinvolti dei richiedenti asilo. Cosa che però non avviene quando a essere arrestato è un cittadino italiano. Considerando che la maggior parte dei profughi, una volta sbarcati sulle coste italiane, inoltrano la richiesta di asilo, è facile immaginare quanto è alto il numero di persone che possono godere di questo «scudo» che altri invece non posseggono.

«Non esiste una norma scritta che imponga di non divulgare la notizia - precisa Giovanni Pepè, questore di Cuneo -, si tratta semplicemente di una direttiva politica basata sul buon senso. Vengono cioè usate delle precauzioni in più nel caso in cui ad essere arrestato sia un rifugiato, solo perché rivelare il suo luogo di residenza, potrebbe mettere a repentaglio la sua incolumità e quella della sua famiglia. Sarà poi la Commissione territoriale che valuta le richieste a stabilire se il fatto di essere stato arrestato e magari un'eventuale condanna, possa determinare la non accettazione della richiesta». Una maggior precauzione che però non viene applicata in altri casi. «Si, è vero - conclude il questore - quando non siamo di fronte a un richiedente asilo, la notizia viene divulgata, spesso subito dopo la convalida dell'arresto, con tanto di iniziali ed età». Eppure ogni cittadino dovrebbe essere uguale davanti alla legge e per tutti dovrebbe valere la regola dell'essere innocenti fino al terzo grado di giudizio. «Non esiste una circolare interna in cui viene richiesto di non rendere note le indagini se l'arrestato è un richiedente asilo - spiega un sindacalista torinese - ma ci viene caldamente suggerito, per non aumentare la tensione e allarmare maggiormente l'opinione pubblica, già esasperata dai disagi e dalla diffidenza dei profughi che hanno invaso le nostre città».

Categoria Giustizia

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