Un Cantone choc sulla magistratura. “Le correnti? Un cancro.
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Md? Non mi piace l’utilizzo della giustizia come lotta di classe. L’Anm? Non mi sento rappresentato. Csm? Centro di potere vuoto. E la trattativa…”. Incontrare alla festa del Pd un inedito Cantone
di Claudio Cerasa | 04 Settembre 2015 ore 06:27 Foglio
Milano. Le correnti della magistratura come un male assoluto, “un cancro”. L’obbligatorietà dell’azione penale diventata una grande farsa, “discrezionale”. Il ruolo del Csm che non esiste più, “centro di potere vuoto”. E l’Anm che si preoccupa delle ferie e che ormai non rappresenta più nessuno. Bum! Sono le venti e trenta minuti, è la sera di mercoledì 2 settembre, siamo a Milano, festa dell’Unità, e in una libreria a pochi metri dal palco principale sono seduti a fianco Piero Tony e Raffaele Cantone. Si parla del libro di Tony – ex procuratore capo di Prato che con il suo libro “Io non posso tacere” (Einaudi) ha denunciato le vergogne e gli orrori della gogna mediatica, del processo a mezzo stampa e della magistratura politicizzata – e a un tratto il presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione interviene, prende parola e sceglie di mettere insieme una serie di pensieri da urlo su tutto quello che non funziona nei rapporti tra magistratura e politica. Bum! Il discorso di Cantone non è generico, si riferisce a una serie di casi concreti e a quella che lo stesso Cantone definisce una parte non maggioritaria della magistratura. Ma le parole di Cantone, eroe del moralismo dell’èra renziana, hanno comunque un impatto importante e costituiscono una denuncia sincera di un sistema che giorno dopo giorno rischia, come si dice, di arrivare allo sfascio. E il fatto che Cantone si definisca, testuale, “un magistrato di sinistra” non fa che aumentare l’interesse per il ragionamento. Noi eravamo lì, tra Tony e Cantone, e ci siamo segnati tutto. Si parla del libro, naturalmente, ma si arriva a molto altro.
Cominciamo. “Su alcuni temi – dice Cantone – ho una posizione persino più oltranzista di Tony. Io, per esempio, credo che il Csm sia diventato un centro di potere di cui si fa fatica ad accettare il ruolo. E non ho timore a dire che su molte cose credo che il collega si sia persino trattenuto perché, per molti aspetti, le cose sono anche peggiori”. Tony, nel suo libro, suggerisce di combattere la piaga del correntismo nella magistratura con una misura simbolica: la selezione per sorteggio dei membri del Csm. Cantone non condivide la soluzione ma condivide eccome la premessa. “Noi – dice Cantone – siamo l’ultima categoria che fa carriera in modo automatico senza che vi siano demeriti. Il sorteggio non mi convince, perché sarebbe una grande sconfitta, darebbe l’idea che la magistratura non sia sostanzialmente modificabile. Sono però convinto della diagnosi che le correnti siano diventate un cancro della magistratura. Posso dirlo? Io mi definisco un magistrato di sinistra ma non ho mai fatto parte di Magistratura democratica. Ho sempre avuto grandi rapporti con Magistratura democratica, molti miei amici e molti colleghi con cui ho lavorato sono stati e sono quasi tutti di Magistratura democratica. Ma non mi è mai piaciuto di Magistratura democratica il settarismo che l’ha sempre caratterizzata. L’utilizzo della giustizia come lotta di classe”. Pausa. Si ricomincia. “Le correnti della magistratura sono uno strumento indispensabile per fare carriera e hanno rappresentato e rappresentano oggi un vero e proprio sistema che per certi versi è persino peggiore di quello della politica. Se non fai parte di una corrente non vai da nessuna parte. Questo è un dato obiettivo. Un dato che si fa fatica ad accettare”.
E Cantone, con le correnti, che rapporto ha? Risposta tosta. “Io non mi sono mai cancellato dalla corrente a cui sono sempre stato iscritto dal primo giorno ed è una corrente a cui mi sono iscritto solo perché è la corrente che aveva fondato Giovanni Falcone, ed è l’unica ragione per cui vi sono rimasto”. E l’Anm? Altra bomba. “Non mi sono mai cancellato neppure dall’Anm ma confesso che faccio fatica a pensare di essere difeso da un soggetto che si batte per tenere il numero di ferie a quarantacinque giorni”. Sulla separazione delle carriere, invece, Cantone ribadisce quanto sostenuto tempo fa in una chiacchierata con questo giornale (“Non condivido l’idea di separare le carriere dei giudici da quelle dei magistrati perché la separazione delle carriere rischierebbe di rendere il ruolo dei magistrati più autoreferenziale ancora rispetto a come lo è oggi”). Ma sul tema della riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale il capo dell’anti corruzione offre un’altra frase che non può passare inosservata. “Per come è pensata oggi – dice Cantone, alludendo all’idea che sia impossibile sostenere che un’azione penale nasca soltanto per ragioni di obbligatorietà e non invece per ragioni legate alla sensibilità personale del pm – l’obbligatorietà dell’azione penale è un testo bellissimo ma inattuabile. Crea più danni che vantaggi e consente la vera discrezionalità dell’azione penale”.
I ragionamenti si accavallano e Cantone appare sempre di più, sorprendentemente, come un fiume in piena che a poco a poco esce fuori dagli argini del politicamente corretto. E al termine della chiacchierata il presidente dell’Anti corruzione arriva a sfiorare un altro terreno delicato e particolarmente sensibile: la Trattativa stato mafia. Nel libro di Tony la tesi dell’ex procuratore capo di Prato è forte. Tony sostiene che la trattativa è “un pentolone all’interno del quale ho visto confluire molti degli ingredienti del processo mediatico, o meglio della gogna mediatica” e per inquadrare bene il tema offre al lettore questo ragionamento: “La mia impressione è che tutto sia contorto, metagiudiziario quanto ad analisi socioeconomiche e storico-politiche, e silente quanto al movente delle persone di stato… Ho l’impressione che in questa storia alcuni magistrati si siano mossi più come giornalisti che come inquirenti, e che siano partiti dalla volontà di dimostrare una teoria storica più che un reato preciso… e che ci troviamo di fronte a un grande equivoco storico e che si rischi di processare un metodo, più che un reato. A voler essere più precisi, mi sembra si stia portando avanti più un processo alla politica governativa degli anni delle stragi che un processo a singoli esponenti politico-istituzionali”.
Cantone, come si è detto, ha letto il libro di Tony e il ragionamento offerto dall’ex magistrato lo ha convinto in pieno. “Una parte che mi è piaciuta molto di questo libro è quella sulla Trattativa stato mafia ed è una di quelle cose che molti magistrati pensano ma nessuno ha il coraggio di dire”. E il fatto che a dire questa frase sia Raffaele Cantone, cioè l’uomo scelto da Renzi per provare a dettare al paese un nuovo codice morale in un perimetro che naturalmente non riguarda solo il campo della corruzione, non è secondario, e offre ai velinari delle procure l’occasione di rifletterci su almeno per un po’.
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