Riparte il circo di Mafia capitale
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Il reato di associazione mafiosa ora diventa solo questione di “metodo”
di Redazione | 20 Agosto 2015 ore 14:26 Il Foglio
Inizierà a novembre il processo su “mafia capitale”, e c’è da sperare che nel procedimento giudiziario invece che teoremi traballanti sostenuti solo dalla capacità di impressionare l’opinione pubblica verranno presentate prove e riscontri oggettivi. Finora, invece, ha prevalso la tattica, adottata immediatamente dalla procura romana, di esaltare gli elementi speciosamente publicitari, mentre di effettivi elementi che colleghino gli imputati romani a organizzazioni effettivamente mafiose sono assai evanescenti. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, che pure ha una vasta esperienza dei processi di mafia per l’attività svolta, peraltro egregiamente, come capo della procura antimafia nazionale, nei mesi scorsi ha fatto dichiarazioni sconcertanti.
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“Non è la mafia di Cosa nostra, non è il Padrino – ha detto riferendosi al malaffare scoperto a Roma – ma è comunque mafia per il metodo mafioso”. Era una frase di un comizio a una festa dell’Unità, il che almeno parzialmente giustifica il carattere assolutamente impreciso, per non dire fuorviante di questa osservazione. Questo stesso concetto, secondo il quale basta il “metodo mafioso” per configurare il reato specifico di associazione di stampo mafioso, è stato poi ripreso dalla procura, anche nella presentazione di atti giudiziari e questo è davvero allarmante. Anche chi non nutre alcuna simpatia per gli imputati di questo maxi-processo, non può accettare l’idea che un reato specifico, già piuttosto fumoso a causa del suo carattere associativo, diventi addirittura una questione di metodo, del tutto indefinibile e quindi tale da consentire qualsiasi arbitrio. Quando poi Grasso ha dato una definizione del metodo mafioso ha parlato di “intimidazioni e violenze” connesse alla volontà di “infiltrarsi nella pubblica amministrazione”.
In pratica non c’è modo per distinguere su questa base le pressioni indebite, che sono una cosa censurabile naturalmente, dall’azione mafiosa, che è tutt’altra cosa. Paradossalmente si potrebbe dire che quando la procura romana ha dichiarato di non credere alle dichiarazioni di Stefano Buzzi perchè non portano sostegno all’incriminazione di Gianni Alemanno per associazione mafiosa, ha esercitato una pressione indebita, accompagnata dalla violenza oggettiva della carcerazione preventiva. Dunque anche la procura ha agito con “metodo mafioso”? E’ solo un paradosso, ma serve a far capire quanto sia generico e furviante questo concetto, che prò rischia di diventare la spina dorsale di un procedimento destinato a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica e non solo in Italia. C’è solo da sperare che i giudici di merito non si facciano obnubilare da questi paralogismi e ammettano com’è loro diritto e dovere, solo prove convincenti.
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