Meglio tutelare che origliare
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Ma quale bavaglio alle indagini e alla stampa? Vanno difesi i cittadini
di Redazione | 27 Luglio 2015 ore 17:38 Foglio
La discussione sull’uso di intercettazioni fraudolene usate a scopo diffamatorio ha preso, com’era da immaginarsi, una brutta piega. Della salvaguardia della privacy e dell’onorabilità personale, che sarebbero diritti garantiti dalla Costituzione, non importa a nessuno. I parrucconi si stracciano le vesti perché in questo modo si lederebbe il diritto di informazione, che però non coincide con quello, inesistente, alla diffamazione. Si fa perfino confusione tra intercettazioni o registrazioni messe in atto dalle vittime di estorsione mafiosa, che naturalmente non c’entrano nulla con la legge in discussione, visto che nessun tribunale le considererà volte a diffamare o screditare un mafioso ricattatore. Si sente l’eccelsa opinione di Giovanni Maria Flik che spiega che la legge consente la diffusione della registrazione di conversazioni tra privati, senza rendersi conto che è proprio per apportare una correzione a una legge sbagliata che se ne fa una nuova. Il punto non è la dimensione della pena prevista, forse eccessiva (anche se ieri il ministro Orlando ha garantito che “non colpiremo la stampa”), o la precisazione, sempre utile, della configurazione del reato. Questo si può discutere e correggere.
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Ciò che davvero fa impressione è che si gabelli per bavaglio o per attentato alla giustizia il fatto che si tuteli il cittadino (non indagato, non sottoposto a intercettazioni giudiziarie) dal ludibrio e dal ricatto. L’informazione libera non può travalicare i limiti della libertà delle persone, che non possono essere colpite attraverso l’uso fraudolento della registrazione di conversazioni artatamente estorte. Si propongano misure diverse che ottengano però eguale livello di tutela del cittadino, e discuteremo. Altrimenti c’è solo da difendere un principio sacrosanto contro l’ipocrisia del kombinat mediatico-giudiziario.
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