I cecchini dell'impresa. Il sequestro alla Fincantieri di Gorizia è l'ennesimo colpo della cieca magistratura ambientalista all'industria nazionale
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La decisione della procura di Gorizia, agevolata da una lettura formalistica da parte della Cassazione della vicenda,
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di Redazione | 01 Luglio 2015 ore 13:58
La decisione della procura di Gorizia che ha sequestrato alcune aree dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, agevolata da una lettura formalistica da parte della Cassazione della vicenda, infligge un altro colpo all’industria italiana, senza che vi sia alcun pericolo per le persone o per l’ambiente. Chi lavora in subappalto per arredare le navi prodotte da fincantieri accumula gli scarti, che non sono nè tossici nè nocivi, in aree messe a disposizione dell’azienda, che poi provvede al loro smaltimento. Secondo la procura raccogliere gli scarti significa svolgere un “trattamento” dei rifiuti che per legge è riservato ad aziende specificamente autorizzate. Per due volte la richiesta di sequestro della magistratura era stato respinto dai giudici, ma ora la Cassazione ha trovato un errore formale in quelle sentenze e ha così consentito l’operazione che ha mandato a casa miglia di operai e che mette a rischio il rispetto dei tempi nelle consegne, che è un elemento determinante per il successo di imprese industriali cantieristiche. Viene il sospetto che si tratti di una specie di vendetta degli ex colleghi di Felice Casson per la sconfitta che a subito nelle lezioni municipali a Venezia.
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Al di là di ogni maliziosa dietrologia, resta la gravità del fatto in sè che peraltro interessa una società quotata in Borsa. Il governo attraverso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti si dice “molto preoccupato” e non esclude “un intervento normativo di emergenza”, ma salta agli occhi che è mancata una reazione politica adeguata già da quando con l’attacco all’Ilva di Taranto, reiterato ora, si era palesato l’intento antiproduttivo delle procure politicizzate e il governo non ha finora dimostrato di avere né la forza né l'intenzione di contrastare le invasioni di campo dei giudici (altrimenti perché consentire all'Ilva in amministrazione straordinaria di proporre il patteggiamento, proprio in queste ore, nel processo a suo carico a Taranto per disastro ambientale?). Con un uso estremistico della normativa ambientale si possono poi mettere in ginocchio quasi tutte le imprese, e sono numerosi i casi che non hanno suscitato né l’attenzione dell’opinione pubblica né gli strali confindustriali – la manina giudiziaria anti impresa la conoscono bene le piccole e medie imprese rovinate da intereventi gudiziari del genere. Trattare un fenomeno che sta assumendo caratteri strutturali come “emergenza” è sempre limitativo. Senza arrivare a una revisione pur ragionevole dell'istituto del sequestro, che il governo pare timoroso a intraprendere, la nuova legge in vigore sugli ecoreati – che il Foglio ha criticato per un'impianto che in generale lascia ampia discrezionalità alle azioni dei magistrati in ambito ambientale – prevede un rimedio (art. 1 comma 9) che previene atti destabilizzanti della magistratura facendo precedere al sequestro un'ordinanza delle autorità ambientali locali per dare tempo all'impresa di rimediare all'addebito che spesso non è di carattere doloso. Intanto però a pagare è il lavoro e la produzione, come sempre.
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