L’algebra del pm Di Matteo
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Invece di lagnarsi per la bocciatura all’Antimafia, si dia al romanzo
di Redazione | 19 Maggio 2015 ore 19:10 Foglio
Il procuratore palermitano Nino Di Matteo è convinto d’essere una specie di eroe di Dostoevskij, umiliato e offeso da una decisione del Consiglio superiore della magistratura che non gli è stata favorevole. Anche questa volta, nella denuncia contro l’organo di governo della magistratura presentata al Tribunale amministrativo, elabora una teoria del complotto, con la ricostruzione fantasiosa di una manovra che sarebbe stata ordita dai membri del Csm, una “sistematica, algebricamente calcolata e calibrata sottovalutazione” dei suoi meriti. Alla fine, nella votazione per gli incarichi alla Procura nazionale antimafia, Di Matteo è arrivato undicesimo. A occhio e croce non era necessario l’impiego di misteriosi algoritmi per escluderlo. Di Matteo c’è rimasto male e chiede al Tar di annullare la delibera “per prevenire la pesante condizione di disagio morale, umano e professionale conseguente all’ingiusta mortificazione”. Tesi piuttosto curiosa, se chi non vince un concorso si sente mortificato, bisogna annullare il verdetto.
Di Matteo non è l’unico a protestare per l’applicazione di criteri di merito diversi da quelli che lo avrebbero favorito. L’Italia è attraversata da cortei di insegnanti che rifiutano ogni forma di selezione meritocratica. Però in quelle manifestazioni si esprime una volontà di applicare obsoleti criteri egualitari. Di Matteo, invece, si considera il migliore, ha appena dato alle stampe un libro intitolato “Collusi - Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia” e si fa presentare in copertina dall’editore come “il magistrato più temuto dalla mafia racconta il nuovo potere criminale, e come fermarlo”. Chissà che grazie alla fantasia che lo induce a inventare complotti non abbia un grande futuro come romanziere.
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