L'assoluzione di Fazio e il costo dell'assalto dei giudici alla Banca d'Italia
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Perché l'operazione Bnl-Unipol avrebbe dovuto essere giudicata dai mercati, non dall'autorità giudiziaria
Antonio Fazio,ex governatore di Bankitalia, in aula per una sua deposizione (foto LaPresse
di Sergio Soave | 07 Maggio 2015 ore 14:15 Foglio
La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione, impugnata dalla procura generale milanese, di Antonio Fazio, già governatore della Banca d’Italia, e di Giovanni Consorte, ex presidente di Unipol, la compagnia assicurativa delle cooperative rosse, e di altri dieci imputati dall’accusa di aggiotaggio per la scalata alla Bnl del 2005. La sentenza favorevole a Fazio era stata emessa dalla corte di Appello di Milano (alla quale era stata rinviata dalla stessa Cassazione) alla fine del 2013. Con la sentenza “perché il fatto non sussiste” si conclude una vicenda che ha devastato i vertici della finanza italiana a cominciare dalla Banca d’Italia, dopo un iter controverso che aveva visto in primo grado pesanti condanne penali e una provvisionale di ben 15 milioni di euro a favore del Banco di Bilbao (ora Bnp Paribas), la banca che alla fine si è impadronita del quarto istituto di credito italiano.
Alla base di questa triste vicenda c’è il tentativo messo in atto da Fazio di mantenere l’italianità della Bnl, scopo per raggiungere il quale aveva favorito la costruzione di una cordata piuttosto fragile ma soprattutto invisa all’establishment nazionale. Una borghesia che non era in grado di mantenere il controllo di una banca di interesse nazionale privatizzata, un sistema finanziario incapace di guardare al di là del proprio orticello, un sistema mediatico inquinato dallo scandalismo, sono tutti fattori che invece di fornire sostegno o di proporre alternative, scatenarono una campagna contro i “furbetti del quartieri”. Anche i responsabili politici del centrodestra preferirono lucrare sulle goffaggini di qualche esponente politico di sinistra, come l’allora segretario del Pds Piero Fassino, che si lasciò andare all’esclamazione poi divenuta celeberrima “abbiamo una banca”. La sentenza non era affatto scontata, visto che la procura della Cassazione aveva chiesto l’accoglimento del ricorso almeno per l’aspetto risarcitorio e che il reato penale era comunque caduto in prescrizione da tre anni.
La volontà della procura milanese di definire i compiti della Banca d’Italia secondo propri punti di vista assolutamente discutibili, negando di fatto una funzione di vigilanza sulla stabilità del sistema bancario che è da sempre un aspetto rilevante della sua attività, accompagnato alle funamboliche ricostruzioni delle operazioni finanziarie messe in atto dalla cordata Unipol, hanno finito per dare un’immagine persino peggiore della realtà del mondo finanziario nazionale e hanno causato un danno consistente all’attendibilità del nostro sistema bancario, proprio in una fase in cui si avvicinava una tempesta internazionale. Se la manovra tentata da Fazio e da quelli che aderirono al suo appello fosse o meno adeguata alla situazione doveva giudicare il mercato, non un tribunale.
Anche questo episodio, fra i più gravi esempi di strapotere giudiziario, è finito poi in un nulla di fatto dal punto di vista processuale. Ha inflitto invece una ingiustificata espulsione dalla sua eminente funzione di una persona retta e competente come Antonio Fazio, che non ha neppure goduto – come era accaduto al suo predecessore Paolo Baffi, ingiustamente incriminato nel 1979 – del sostegno del mondo politico, compreso il Pci, e dell’opinione pubblica.