Grandi opere, arriva il solito circo
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Cari pm e giornaloni, la corruzione si persegue senza affossare i lavori. la duplice equazione “grandi appalti uguale grande corruzione” e “grandi imprese e tecnologie complesse uguale corruzione” che colpisce facilmente la fantasia.
di Redazione | 18 Marzo 2015 ore 18:08 Foglio
Mentre sta definitivamente decollando il Quantitative easing (allentamento quantitativo) della Banca centrale europea, che comporta nuove sfide e opportunità per il rilancio degli investimenti a lungo termine che acquistano maggiore convenienza a causa del ribasso di tasso di interesse, irrompe sulla scena italiana il ciclone mediatico-giudiziario riguardante le grandi opere. Così queste ultime non paiono osteggiate soltanto dai retrogradi No Tav e dai seguaci di Beppe Grillo, ma diventano evidentemente obiettivo di una sorta di maledizione di Montezuma, con la duplice equazione “grandi appalti uguale grande corruzione” e “grandi imprese e tecnologie complesse uguale corruzione” che colpisce facilmente la fantasia.
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Così ora nel tritacarne si trovano un ministro, per una (presunta) raccomandazione di assunzione del figlio ingegnere e un supertecnico ministeriale che da molti anni ne dirige la cabina di regia con risultati come l’Alta velocità, cioè una delle poche grandi innovazioni tecnologiche decollate in Italia. Ora è in ballo il completamento dei lavori di questa: con alcuni cantieri già bloccati da precedenti inchieste che hanno portato all’annullamento degli appalti, fra cui il tratto Milano-Genova (essenziale per il porto) e il tratto veneto (essenziale per fare la Torino-Lione-Kiev); poi ancora l’autostrada da Orte a Mestre, definita come “faraonica” mentre in Italia difettano i collegamenti est-ovest. Quindi c’è il padiglione Italia dell’Expo e un tratto dell’eterno rifacimento della Salerno-Reggio Calabria. La magistratura faccia il suo lavoro, rapidamente, cercando di evitare l’uso, non necessario, di poteri non giurisdizionali, come le misure cautelari. E’ a suon di abusi simili che l’Ilva, che era una grande impresa privata produttiva, è diventata per una sequenza di eventi un’affannata azienda (pubblica) in crisi.
L’argomento usato oggi dal magistrato inquirente di Firenze, per cui l’appaltatore del progetto che per le norme vigenti dà il gradimento alla scelta del direttore dei lavori sarebbe, di per sé, potenziale fonte di corruzione, è un argomento improprio, perché non è compito della magistratura criticare le leggi ma controllare se sono applicate correttamente. E si basa anche su un teorema sbagliato, perché il soggetto responsabile dei lavori verso la Pubblica amministrazione è il general contractor titolare dell’appalto, non il direttore che esegue le opere per lui. La procura competente istruisca celermente il processo mediante la ricerca delle prove delle corruzione e dei corrotti senza pregiudizio per le grandi opere, come è perfettamente possibile. E i media non ricamino troppo attorno al presunto “cartello italiano delle grandi opere”. Di grandi opere abbiamo bisogno, altroché.