Confindustria supera il tic giustizialista
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Gli industriali cassano derive manettare sul falso in bilancio. Era ora
di Redazione | 19 Febbraio 2015 ore 20:27
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Marcella Panucci
Sulla revisione del falso in bilancio la Confindustria spezza il pensiero unico demagogico che imperversa tra politica e media, uscendo anche da una cultura dell’indignazione collettiva alla quale, pure, talvolta non è stata esente. Al Corriere della Sera la direttrice generale di Viale dell’Astronomia, Marcella Panucci, dice quello che tutti sanno benissimo, ma che pochi ammettono: “La riforma deve essere equilibrata e non punitiva, come emerge invece da alcune indiscrezioni”. Le indiscrezioni sono “il ritorno all’ambito penale che ci riporterebbe al codice del 1942”. Allora, ricorda la Panucci, il governo fascista decise che il falso in bilancio era un reato di pericolo anziché di danno, e quindi perseguibile d’ufficio e non su querela di parte. Ora resterebbero fuori i soggetti con meno di 600 mila euro di ricavi, “cioè microattività commerciali. Un approccio che va cambiato”.
ARTICOLI CORRELATI La grida manzoniana sulla corruzione Quante falsità sul falso in bilancio La direttrice di Confindustria ricorda che un bilancio aziendale “è un documento che ha contenuti valutativi”, può cioè essere composto assegnando valori diversi a varie voci “sulle quali se lei chiama tre revisori le faranno tre differenti bilanci. Affidare tutto questo alla magistratura penale avrà come conseguenza di scoraggiare ulteriormente le imprese dall’investire in Italia”. Finora la riforma nella versione forcaiola era stata presentata esattamente all’opposto, cioè per allineare l’Italia al resto del mondo. Mentre la nuova stretta sul falso – per il quale nel 2002, e per i casi di minore gravità e senza danni per terzi e lo stato, il centrodestra aveva trasformato le pene in sanzioni amministrative – è stata venduta come ritorno alla luce della civiltà dopo le tenebre berlusconiane. Di conseguenza ogni modifica nel senso della ragione viene interpretata come legge “ad personam”, magari con retropensieri in stile Nazareno. Neppure la Confindustria è stata esente da slittate giustizialiste, a cominciare dal famoso appello del 2011 “Fate presto” (a mandare a casa il Cav.). Altre volte la difesa della legalità e della concorrenza ha coinciso con un appiattimento sulle iniziative un po’ arrembanti dei pm, per esempio nell’inchiesta su Mafia Capitale. Ora si dicono semplicemente le cose come stanno. Evviva.