La posizione del ministro della Giustizia. Concorso esterno e intercettazioni, Nordio alla prova del fuoco tra “obbedisco” e sfida alla sua premier

rigorosa riforma liberale delle intercettazioni, ribaditi ad ogni piè sospinto dal Ministro Carlo Nordio,

Gian Domenico Caiazza — 20 Luglio 2023 lettura 2’

Per punire il suo Ministro Guardasigilli dalle “blasfeme” considerazioni sul concorso esterno da questi espresse in modalità editorialista, la Presidente Meloni commissiona al proprio entourage di escogitare una qualche iniziativa utile a lucidare il medagliere antimafia. Con encomiabile zelo gli sherpa vanno a pescare con il lanternino una sentenza della Corte di Cassazione che viene dalla Presidente spacciata per “recente”, ma che invece risale ad un anno fa.

Insomma, ecco la penitenza che il Governo impone a sé stesso e al proprio Ministro di Giustizia per emendarsi urbi et orbi dalle blasfeme parole sul concorso esterno: un urgente decreto-legge con il quale si intenderebbe “correggere” l’interpretazione giurisprudenziale della nozione di “criminalità organizzata” formulata in quella sacrilega sentenza.

Ma quella sentenza -per chiunque sappia di cosa tecnicamente stiamo parlando- non fa che ribadire un principio tanto banale quanto consolidato da molti anni, anche da pronunce delle Sezioni Unite. E cioè questo: se una Procura sceglie di contestare a Tizio un reato comune “aggravato dalla modalità mafiosa”, e non anche il reato di associazione mafiosa, non possono applicarsi le regole ultra-invasive (trojan, durata delle intercettazioni, luoghi intercettabili e così via) eccezionalmente previste per tale ultimo reato.

Un principio di garanzia e di stretta legalità che rende onore alla ferma giurisprudenza della nostra Suprema Corte, ma che è anche abbastanza ovvio. Perché pretendi di utilizzare le regole eccezionali previste per il reato associativo, se non me lo contesti? Siamo alla evidenza lapalissiana. Ed ecco che i propositi di rigorosa riforma liberale delle intercettazioni, ribaditi ad ogni piè sospinto dal Ministro Carlo Nordio, vengono messi in grave crisi dall’impetuoso diktat meloniano.

Si vuole cioè intervenire con legislazione urgente (!!!) e squilli di tromba, per “correggere” (sic!) una giurisprudenza della Corte Suprema consolidata da anni, al fine di estendere le regole più estreme, invasive ed illiberali dello strumento intercettativo, già previste per il reato associativo mafioso, addirittura alle situazioni nelle quali la stessa Procura ha ritenuto di non avere elementi per contestare quella associazione criminale, ma solo un reato comune aggravato dalle “modalità mafiose”.

Come potrà conciliarsi una simile, gravissima iniziativa legislativa, che il Ministro Nordio dovrebbe necessariamente sottoscrivere, con i propositi di riforma liberale della giustizia penale, ribaditi con forza dal Ministro proprio in materia di intercettazioni telefoniche? Questa è davvero la prova del fuoco per le dichiarate ambizioni di una nuova politica della giustizia penale, che ci farà comprendere se quei propositi di riforma liberale annunciati con passione e sincera convinzione da Carlo Nordio siano un programma politico effettivamente condiviso dal Governo, o invece l’ennesima stagione di riforme solo annunciate.

Gian Domenico Caiazza

Presidente Unione CamerePenali Italiane

Commenti   

#1 walter 2023-07-20 18:57
Carlo Nordio, Vittorio Feltri: se anche l'Unità difende il ministro

Vittorio Feltri 20 luglio 2023a a a liberoquotidiano.it
Leggo volentieri l’Unità perché, anche nella nuova versione tornata in edicola da alcuni mesi, nove volte su dieci mi conferma nella convinzione che peggio della destra c’è solo la sinistra. Il restante dieci per cento dei casi ha il potere di rasserenarmi perché dimostra che nessuno è perfetto, neanche il comunista stagionato in botti di rovere, com’è senza dubbio Piero Sansonetti. La sua imperfezione, che lo distingue per sua fortuna da Elly Schlein, si chiama garantismo. Più che un difetto lo chiamerei un vizio, dato che ce l’ho anch’io.

Ieri Sansonetti, direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, ha scritto un articolo i cui contenuti sottoscrivo in pieno. Piero non si limita a dar ragione al ministro Carlo Nordio sulla necessità di rimediare a una anomalia nella teoria e nella pratica giudiziaria italiana. Vige da noi una figura di reato creata dalla Cassazione nel lontano 1994 e che è non prevista da alcuna norma di legge: mi riferisco al «concorso esterno in associazione mafiosa». L’Unità ha il merito di costringerci a spostare lo sguardo dalla dottrina e dalla convenienza politica al caso concreto.

Ha esaminato la vicenda di Antonio D’Alì, per ventiquattro anni senatore di Forza Italia eletto a Trapani, e dal 14 dicembre scorso nel carcere di Opera dove si è consegnato dopo la condanna a sei anni sanzionata dalla Cassazione appunto per «concorso esterno».

All’assurdità giuridica si somma l’anomalia del percorso processuale che rende doppiamente deplorevole la permanenza in carcere di D’Alì. Il politico berlusconiano è stato assolto in primo grado a Trapani, riassolto in appello a Palermo. Quindi la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura generale, e si è rifatto il processo. Pare che il nostro uomo nel 1994 sia stato eletto con i voti del clan mafioso dei Messina Denaro, che festeggiarono la vittoria del loro preferito.

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