Caiazza: "L'espulsione di Palamara somiglia più a un esorcismo che a un procedimento disciplinare"
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Nessuna riflessione sulle ragioni che da decenni spingono le correnti e la politica a occuparsi della spartizione delle nomine dei vertici degli uffici giudiziari
ERMES ANTONUCCI 10 OTT 2020 ilfoglio.it lettura3’
Perché il provvedimento nei confronti dell'ex componente del Csm è una condanna anche per la magistratura
Roma. Luca Palamara è stato espulso dalla magistratura. Accogliendo la richiesta avanzata dalla procura generale della Cassazione, la sezione disciplinare del Csm ha deciso di punire il pm romano con la sanzione più severa prevista per le toghe: la rimozione dall’ordine giudiziario. Palamara è stato ritenuto colpevole di aver tenuto comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi candidati per il posto di procuratore di Roma (in particolare con la famosa riunione in hotel con alcuni consiglieri del Csm e i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti) e di aver portato avanti una strategia di discredito nei confronti del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo.
Il capro espiatorio è stato punito in maniera esemplare e tutti i problemi sono stati risolti, sembra essere il pensiero diffuso nella magistratura e nel Csm. Se di certo non si può negare l’inopportunità dei comportamenti tenuti da Palamara e da alcuni suoi colleghi, a lasciare stupiti è l’assoluta assenza di dibattito nella magistratura sulle reali cause che si celano dietro le gravi degenerazioni emerse dal cosiddetto scandalo sulle nomine pilotate. Superata l’indignazione iniziale, un silenzio tombale e corporativo ha investito il mondo togato. Nessuna riflessione sulle ragioni che da decenni spingono le correnti e la politica a occuparsi della spartizione delle nomine dei vertici degli uffici giudiziari: l’ampia discrezionalità politica in mano ai procuratori capo, l’assenza di reali forme di valutazione della professionalità dei magistrati, l’incremento del fenomeno dei magistrati “fuori ruolo” in ministeri e organismi pubblici, la commistione fra toghe e politica, la trasformazione delle correnti da organi di espressione del pluralismo culturale a centri di potere.
Anziché discutere di questo, la magistratura e il Csm hanno preferito svolgere un processo lampo (durato solo tre settimane, record storico) nei confronti di Palamara, negando l’ascolto dei 133 testimoni indicati dalla difesa del pm ed evitando pure di interrogarsi sulla legittimità di intercettazioni che hanno coinvolto alcuni parlamentari (e di quel trojan misteriosamente disattivato durante certi incontri). E pensare che lo scandalo, esploso nel giugno 2019, ha nel frattempo costretto alle dimissioni ben sei consiglieri del Csm e l’allora procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio.
“Sono consapevole di aver pagato io per tutti, per un sistema che non funziona, che è obsoleto e superato”, ha dichiarato Palamara in una conferenza stampa tenutasi nella sede del Partito radicale, affermando di non aver “mai fatto accordi con nessun parlamentare perché un ipotetico procuratore della Repubblica potesse accomodare qualche processo” e sottolineando di non essere stato lui a inventare il sistema delle correnti, che invece “domina la magistratura da circa 40 anni”. L’ormai ex pm ha anche annunciato che contro il provvedimento di rimozione ricorrerà in Cassazione e, se necessario, anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, facendo capire inoltre che presto andrà al contrattacco: “Non solo Lotti. Farò i nomi dei politici che ho incontrato. Di cene ne ho fatte tante”. Palamara ha anche evidenziato una particolare coincidenza: “I miei accordi, da presidente Anm prima e da consigliere Csm poi, sono stati prevalentemente con la parte di sinistra della magistratura, con la parte di Area. Quando mi sono spostato più a destra, con Magistratura Indipendente, sono venuti fuori i problemi”.
“La radiazione dalla magistratura di Luca Palamara ha le stimmate ipocrite del capro espiatorio, sacrificato in realtà per salvare dal peggio innanzitutto i sacerdoti officianti”, ribadisce al Foglio Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle camere penali. “Questo non è l’esito di un procedimento disciplinare degno di questo nome, è piuttosto un esorcismo. In genere, tuttavia, sacrifici ed esorcismi non servono a granché, e ce ne renderemo conto in tempi assai brevi”. Palamara non potrà più indossare la toga, ma la figura peggiore sembra averla fatta tutta la magistratura