Il bacio perugino. Le rivelazioni sul caso Palamara sono un fiume di veleno che travolge la credibilità della magistratura.
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Tutti si strappano le vesti, ma i finti innocenti tacciono. Ecco che cosa si nasconde dietro al loro silenzio
di Giuseppe Sottile 30.5. 2020 ilfoglio.it lettura 7’
Altro che bacio perugino. Le arroganze e le lordure captate dal trojan nascosto dai pubblici ministeri di Perugia nel telefonino di Luca Palamara, magistrato romano e leader della corrente di Unicost, non stupiscono più. E’ un fiume di lava e di veleni. Scivola a valle con l’irruenza dello scandalo. Brucia reputazioni che apparivano consolidate, corrode posizioni che sembravano inespugnabili, travolge carriere che si credevano proiettate in un futuro luminoso. E tra tanta devastazione, riesce persino difficile tracciare un primo inventario delle macerie.
Il Consiglio superiore della magistratura – il campo di battaglia sul quale traccheggiavano Palamara e i capi delle altre correnti – a stento si regge in piedi: già nel maggio dell’anno scorso, alle prime avvisaglie dell’inchiesta di Perugia, cinque dei suoi membri si sono dimessi per la vergogna di essere stati sorpresi con le mani nella marmellata; sembrava che l’immondezzaio fosse circoscritto a una cerchia ristretta di gaglioffi e malandrini, ma le rivelazioni di questi ultimi giorni dicono che al letame non c’è mai fine. Angeli e demoni sono tutti lì, con le alucce impigliate in una rete di cenere e fango. Chi li salverà?
Il Csm – il campo di battaglia sul quale traccheggiavano Palamara e i capi delle altre correnti – a stento si regge in piedi
E chi salverà, soprattutto la credibilità – ma anche l’autorevolezza – dei giudici che nelle settimane a venire siederanno nei tribunali per colpire le nefandezze dei reprobi e risarcire le offese delle vittime? Chi salverà il prestigio dei procuratori che da domani apriranno nuove inchieste e ordineranno nuove retate per boss e picciotti di mafia, per trafficanti e spacciatori, per violenti e assassini, per corrotti e corruttori? Quanti saranno gli imputati che, sfregiati dalla gogna e sputtanati dalle intercettazioni, rinfacceranno ai propri persecutori di non essere né indipendenti né obiettivi, ma animati da chissà quali rancori o da chissà quali interessi? Diciamolo: chi di trojan ferisce di trojan perisce. Alfonso Bonafede, ministro manettaro della Giustizia, credeva di avere consegnato ai pubblici ministeri la spada di fuoco con la quale scovare ogni reato e punire ogni colpevole. Invece ha messo a loro disposizione un detonatore che, alla prima esplosione, ha fatto scricchiolare la maestosa sacralità di tutti i palazzi di giustizia. Persino quello, mastodontico e monumentale, della Corte di Cassazione, eretto sulla riva del Tevere e contrapposto, manco a dirlo, alla magnificenza della basilica di San Pietro in Vaticano.
Uno scempio, non c’è dubbio. Di fronte al quale uomini e topi di questo romanzo nero non sanno più come nascondersi. Luca Palamara – quello che, da potente consigliere del Csm, tesseva le trame e garantiva ai suoi amici carriere e incarichi di prestigio – ha l’aria contrita del peccatore e invoca pietà per sé e per tutti i compari trascinati dal trojan nella palude melmosa dell’infamia. Cosimo Ferri, ex leader della corrente di Magistratura Indipendente e ora parlamentare di Italia Viva, non nega ovviamente di avere passato molte notti all’hotel Champagne e di avere preso parte, da alleato di Unicost, alle grandi manovre per la spartizione degli incarichi in compagnia di Luca Lotti, renziano come lui, e di altri allegri compagnoni; però si appella alle prerogative che la Costituzione assegna ai deputati e intima a Perugia di non utilizzare le intercettazioni che lo riguardano. Bonafede, il ministro del trojan, pur di non smentire se stesso, lancia la palla in tribuna e promette che metterà mano entro pochi giorni a una riforma radicale del Consiglio superiore della magistratura; la stessa che aveva promesso l’anno scorso, ai primi tuoni della tempesta Palamara, e che nelle sue intenzioni avrà l’effetto immediato, quasi taumaturgico, di arginare in un colpo solo lo strapotere delle correnti e il cosiddetto mercato delle vacche, povere vacche. E poi c’è il popolo, il vasto popolo dei “chiamati in causa”: politici, giornalisti, uomini dello spettacolo e uomini delle istituzioni, tutti catturati da quella maledetta spia ambientale chiamata trojan e finiti nelle chat di Palamara con le loro chiacchiere “penalmente irrilevanti” ma sufficienti quanto basta per stringerli all’angolo dell’imbarazzo e del silenzio.
E poi c’è il vasto popolo dei “chiamati in causa”. Ma dove sono, in tutto questo sfacelo, i puri e duri della giustizia?
Un silenzio obbligato, legittimo addirittura. Ma dove sono, in tutto questo sfacelo, i puri e duri della giustizia? Dove sono i magistrati coraggiosi che ogni giorno rilasciano interviste per tenere alto il fronte della legalità, che salgono sui palcoscenici dei talk-show per chiedere leggi sempre più forcaiole e per spingere i loro colleghi a gettare in mare le chiavi delle galere? E dove sono i teorici delle trame oscure e delle regie occulte che con la pretesa di riscrivere la storia d’Italia vedono complotti in ogni palazzo del potere e organizzano persino manifestazioni di piazza per chiedere verità e giustizia? Dove sono gli eroi sotto scorta che, con le maxi retate e i maxi processi, ci salvano dal male e guai se sollevi un dubbio perché rischi di delegittimarli e di esporli alla vendetta delle cosche?
E’ sgradevole dirlo, ma l’inchiesta, con tutto il merdaio che ne è venuto fuori, costringe al silenzio non solo i “chiamati in causa” ma anche i puri e duri. Al silenzio di Palamara e dei complici di Palamara si contrappone il silenzio dei finti innocenti. Perché una cosa è certa: che nel circo impazzito del Consiglio superiore della magistratura lo spettacolo triste della lottizzazione della giustizia non era appannaggio solo di Unicost e di Magistratura Indipendente, cioè del correntone di centro e della corrente di destra. Alla grande abbuffata non partecipavano solo Palamara e Ferri, i pupari finiti sotto scopa dopo le intercettazioni devastanti del trojan. C’erano anche i leader senza macchia di Magistratura democratica, la corrente che ai tempi di Luciano Violante, portava al settimo cielo tutti quei magistrati che si schieravano con la sinistra. E c’erano soprattutto gli immacolati di Area: cioè quei magistrati così puri e intransigenti che, irritati per l’odore di compromesso che si respirava ormai sia dentro Magistratura democratica sia dentro Unicost, preferirono fondare, una corrente nuova e ancora più sbilanciata a sinistra.
Chi si avvantaggia nelle elezioni suppletive di ottobre? Oltre alla sinistra, va da sé, anche e soprattutto la corrente giustizialista di Davigo
Gli uomini di Magistratura Indipendente che oggi, assieme a quelli di Unicost, sentono sulla propria pelle i bruciori della sconfitta insistono per scaricare metà della croce anche sulle spalle di Giuseppe Cascini, procuratore aggiunto di Roma, membro del Csm e leader incontrastato di Area. Ricordano che per quattro anni Cascini ha condiviso con Palamara il governo dell’Associazione nazionale dei magistrati: erano rispettivamente presidente e segretario. Poi, come succede in politica, il correntone di Unicost si spostò a destra e si alleò con Magistratura Indipendente. Palamara mollò la coalizione progressista, alla quale partecipava anche Magistratura democratica, e diventò per incanto il re dei due mondi: aveva già dalla sua parte tutti i magistrati che aveva favorito negli anni di governo con la sinistra; ora cercava di conquistare poltrone e consensi anche tra i magistrati promossi dalla nuova alleanza con la destra.
Ma il potere, si sa, è una brutta bestia.
Santino Consolo – ex di Magistratura Indipendente, ex membro del Csm, ex procuratore generale di Catanzaro ed ex capo del Dipartimento delle carceri, quello della rissa tra Bonafede e il magistrato antimafia Nino Di Matteo – ha rilasciato l’altro ieri una intervista all’agenzia Adnkronos dalla quale trapela un dettaglio di non trascurabile importanza. Dopo avere sottolineato che l’inchiesta di Perugia, in quanto “circoscritta in un segmento temporale, ha finito per colpire solo alcune correnti e alcuni settori politici”, fa partire una sciabolata: “Mi pare di aver letto che Cascini fu tra coloro che curarono” dagli uffici della procura di Roma “l’informativa a Perugia da cui si avviò il procedimento penale nei confronti di Palamara; e mi pare che la conseguenza di quella informativa, da cui sarebbe nata l’accusa per corruzione che, stando ai giornali, a quanto pare cadrebbe, è stata la decisione di inoculare il trojan” nello smartphone di Palamara. “Per carità, mere coincidenze, nulla di voluto”, tiene a precisare Consolo, “ma mi pare che questi elementi particolarmente inquietanti si siano dipanati nel momento in cui Palamara ha cambiato alleanze”.
Incredibile ma vero. Le inchieste giudiziarie che spesso e volentieri irrompono nella politica e sovvertono alleanze ed equilibri, secondo la ricostruzione di Consolo sarebbero state utilizzate dai puri e duri per travolgere gli equilibri di forza all’interno del Consiglio superiore della magistratura. Le controprova, per dirla con linguaggio tribunalesco, starebbe negli effetti collaterali provocati dalle intercettazioni diffuse da Perugia nel maggio dell’anno scorso. Non solo viene abbattuto Palamara. Ma l’indignazione degli immacolati, con Area in testa, costringe alle dimissioni tre consiglieri di Magistratura Indipendente e due consiglieri di Unicost. E chi si avvantaggia nelle elezioni suppletive di ottobre? Oltre alla sinistra, va da sé, anche e soprattutto la corrente giustizialista di Piercamillo Davigo che ora conta cinque consiglieri ed è riuscita a portare nel plenum di Palazzo dei Marescialli anche Nino Di Matteo, il più coraggioso tra i magistrati coraggiosi, il pm della fantomatica trattativa tra alcuni pezzi e dello Stato e i padrini di Cosa nostra, quello dello scontro senza esclusione di colpi con il Quirinale e con il presidente Giorgio Napolitano.
Alla grande abbuffata partecipavano pure i leader senza macchia di Magistratura democratica e gli immacolati di Area
Cascini è stato fino al 2018 l’apostolo che sedeva alla destra di Palamara. Quando si mise in corsa per ottenere la nomina a procuratore aggiunto di Roma, a fianco di Giuseppe Pignatone, le operazioni furono pilotate, all’interno del Csm, dall’onnipotenza di Palamara, che pur di accontentarlo, fece persino ritirare dalla corsa Sergio Colaiocco, più anziano e più quotato, che pure faceva parte di Unicost. Ma è bastato un cambio delle alleanze per mandare in frantumi una vecchia e consolidata solidarietà, per trasformare l’amicizia in una rivalità e la complicità in un regolamento di conti. Fino al bacio perugino.
Commenti
CHE, OSPITE DI “PIAZZAPULITA”, HA DETTO “L'ERRORE ITALIANO È SEMPRE STATO QUELLO DI DIRE: ASPETTIAMO LE SENTENZE" - DA “ITALIA VIVA” ARRIVA UNA GRAGNUOLA DI AFFONDI: “PER I GIUSTIZIALISTI BASTA LA CONDANNA MEDIATICA. ASPETTARE LE SENTENZE SI CHIAMA CIVILTÀ”, “NON BUTTIAMO A MARE SECOLI DI CULTURA GIURIDICA PER FAVORIRE LA "PRESUNZIONE" DI DAVIGO” Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera” (dagospia.com)
Dev'esserci un fine umorista, tra i consiglieri di Ursula von der Leyen, se è vero quel che Il Dubbio di ieri ha sparato in prima pagina (ed è comunque trapelato da Bruxelles attraverso varie fonti), cioè che la Commissione europea chiederebbe all'Italia, in cambio dei soldi del Recovery fund, anche la riforma della giustizia. O non leggono i giornali italiani da anni, questi di Palazzo Berlaymont (la sede della Commissione) oppure ci vogliono sfottere. di Sergio Luciano www.italiaoggi.it
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