"I giudici provano sulla loro pelle processi mediatici e intercettazioni"
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L'ex magistrato Nordio: "È un bene che ora siano vittime di indagini invasive spesso usate con una certa disinvoltura. È la nemesi"
Stefano Zurlo - Ven, 07/06/2019 - 06:00 www.ilgiornale.it
È a un dibattito a Pordenone, ma Carlo Nordio non si sottrae al tema del giorno: «Siamo alla nemesi storica».
Si aspettava questo sconquasso dentro le solenni stanze del Csm?
«È vent'anni che scrivo queste cose e lo dico senza alcun compiacimento».
Politica e giustizia vanno a braccetto?
«Adesso tutti si scandalizzano per le riunioni carbonare fra i consiglieri e i politici, ma da sempre la politica la fa da padrona a Palazzo dei Marescialli e nell'Associazione nazionale magistrati. Basta riflettere sulle correnti che sono costruite a imitazione dei partiti, con una destra, un centro e una sinistra».
Sì, ma la legge prevede che un po' di politica ci possa e ci debba essere attraverso i consiglieri laici.
«Certo, ma i laici, che sono una minoranza, quando arrivano a Palazzo dei Marescialli dovrebbero interrompere ogni rapporto con i partiti. Solo che non va così».
Le nomine sono davvero pilotate?
«Certo. Se non hai la sponsorizzazione di questa o quella corrente non puoi aspirare a guidare uffici importanti. Le correnti fanno e disfano accordi, le correnti barattano i posti».
A danno del talento e delle capacita' delle singole toghe?
«Non è detto. A volte vengono scelti personaggi di primo piano, ma il criterio è quasi sempre quello della lottizzazione. E la riprova di questa consuetudine è la valanga di ricorsi che intasano Tar e Consiglio di Stato. E che spesso si concludono con la vittoria dei ricorrenti».
L'inchiesta di Perugia che cosa aggiunge a questo quadro?
«I fatti ipotizzati, se confermati, sarebbero gravissimi. Per questo sarebbe stato bene chiudere le indagini prima di divulgare episodi di cui non siamo ancora certi, ma il mondo va cosi. Per i comuni mortali e ora anche per le toghe. Conosciamo il contenuto delle indagini a pezzi e bocconi direttamente dai giornali, con il rischio di errori ed errate valutazioni».
Siamo alla nemesi storica.
«Appunto. La politica ha sempre strumentalizzato la giustizia: bastava un avviso di garanzia per essere messi fuorigioco. Ora lo stesso meccanismo dilaga dentro la magistratura e il Csm: la giustizia strumentalizza la giustizia».
Fra l'altro si procede sulla base di intercettazioni che sono scivolose per definizione.
«Certo. Quelle di cui parliamo in questi giorni sono parziali, incomplete, non sono state trascritte con i sacri crismi, ma a questo punto è bene che i magistrati assaggino sulla loro pelle queste tecniche investigative molto, molto invasive, utilizzate in tutti questi anni con una certa disinvoltura».
In questo caso si è andati oltre con il trojan inserito nel telefonino di Luca Palamara.
«Con il trojan ascolti tutto quello che viene detto al telefono e vicino al telefono, abolendo la vecchia distinzione fra intercettazioni telefoniche e ambientali. Questo strumento mi lascia perplesso ma il decreto Spazzacorrotti ha esteso la sua applicabilità anche ai reati di corruzione e non solo di mafia. Solo che la nuova disciplina entra in vigore il 1 luglio. Per questo io temo che tutti questi atti siano nulli».
Lei ha sempre attaccato la contiguità fra politica e giustizia. Non è cambiato niente dai tempi di Mani pulite?
«Pensi che una ventina d'anni fa fui convocato dai probiviri dell'Anm allora guidata da Elena Paciotti proprio per aver detto questa banale verità. Mi dissero che li avevo offesi con le mie parole, io mandai a quel paese l'Anm e di quella storia non si è saputo più nulla. Ma la patologia rimane: pensi a quante toghe sono entrate in Parlamento a metà o a fine carriera. Insomma, non siamo ingenui: le candidature non si costruiscono in 24 ore, evidentemente ci sono rapporti consolidati nel tempo».
Come si esce da questa situazione?
«Io la mia proposta l'ho formulata da tempo, almeno per il Csm: questo stato di cose si supera con il sorteggio».
Con i dadi?
«Con la sorte, come si fa per il Tribunale dei ministri e per i giudici popolari che danno anche l'ergastolo. Si prepara una lista di personalità specchiate e di prestigio: giudici di Cassazione, avvocati di lunga esperienza, professori universitari e da quel cesto si pescano i consiglieri. È l'unico modo, a mio parere, per spezzare il legame fra eletti e elettori. Una vicinanza che stride. Ancora di più nella formazione della Sezione disciplinare del Csm, insomma il tribunale della magistratura».
Che cosa non va nella Disciplinare?
«Il paradosso, chiamiamolo così, è clamoroso: i giudici vengono scelti dentro il Csm dai magistrati. Fatte le debite proporzioni è come se l'inquisito eleggesse la corte che dovrà decidere se assolverlo o condannarlo».
Intanto lo scandalo dell'inchiesta di Perugia si allarga. Il Csm assomiglia a una Asl o a una municipalizzata fra incursioni dei politici, nomine, veleni e gossip. Esagerazioni?
«Capisco che il popolo guardi con sconcerto ad una realtà che pareva immacolata ed è invece il crocevia di scorribande e scontri fra opposte fazioni. Questo mi addolora ma purtroppo non mi sorprende».
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