I campioni del processo mediatico sono i veri nemici di una giustizia giusta
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Diceva Falcone che la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità ma è l’anticamera del khomeinismo. Aveva ragione. Perché oggi il Foglio vi regala un bavaglio anti gogna
di Claudio Cerasa 22 Maggio 2017 alle 08:40 da ilfoglio.it
Nell’ultima settimana, complice l’incredibile episodio di una telefonata penalmente irrilevante pubblicata da un giornale in modo probabilmente illegale nonostante nessuno (nessuno) ne abbia autorizzato la trascrizione, il tema del rapporto tra procure, politica e giornali è tornato a essere di grande attualità e molti osservatori, anche con sensibilità diverse, hanno riconosciuto che sì, in Italia, benvenuti, esiste un grave problema legato alle fughe di notizie dalle procure che alimentano un circo Barnum chiamato processo mediatico – all’interno del quale le vite degli altri possono essere spiattellate sulle prime pagine dei giornali senza una ragione che sia diversa dal voler sputtanare il prossimo. La diagnosi sul cortocircuito mediatico giudiziario ormai è condivisa anche da molti giornali che in passato hanno alimentato a testa bassa lo stesso cortocircuito contro il quale oggi si scandalizzano. Ma più che fare ironia sui velinari delle procure che oggi si indignano per le veline delle procure che le procure passano ad altri giornali (avremmo almeno dieci domande da fare, ma non importa) vale la pena spendere alcune righe per affrontare un tema del tutto ignorato in questi giorni nonostante l’orrenda presenza sulla scena di monsieur le cirque médiatique. Un tema che in realtà corrisponde a una domanda, solo una e non dieci: perché i giornali italiani, se davvero vogliono combattere l’orrore della gogna giudiziaria, non la smettono di alimentare il circo mediatico?
Contro la gogna la soluzione c’è: smettere di pubblicare intercettazioni
La gogna si combatte non trasformando i giornali nella buca delle lettere delle procure. Perché il Foglio non pubblica intercettazioni
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La giustizia dei rumori. Il giudice Falcone cercava la giustizia delle verità, molti dei suoi “eredi” invece…
Piero Tony, mitico magistrato di sinistra che ha scelto di andare in pensione con qualche anno di anticipo anche per combattere gli orrori del circo mediatico, definisce così il processo combattuto a colpi di veline delle procure sbattute sui giornali: una nuova misura cautelare diventata ormai una costola del processo tradizionale e trasformata da alcuni magistrati e da alcuni giornalisti complici in una sorta di giudizio di primo grado anticipato. A voler seguire questo filo logico si potrebbe pensare che in fondo, in un sistema giudiziario “così ingiusto”, sia comprensibile che i magistrati, o almeno alcuni di essi, considerino, insieme con i loro fedeli cronisti al seguito, il processo mediatico l’unica vera sanzione contro i-potenti-che-la-fanno-sempre-franca. “La crisi della giustizia italiana, la sua lentezza, la capacità di ottenere la prescrizione degli imputati eccellenti – ha ricordato venerdì scorso Antonio Polito sul Corriere – rendono sempre più rare le sentenze, specialmente nel campo delle inchieste sui cosiddetti colletti bianchi. Gli italiani hanno capito che difficilmente, e chissà quando, il processo farà giustizia e la pena sarà certa. Dunque accettano, e purtroppo talvolta sollecitano, una giustizia più sommaria”.
Articolo completo su ilfoglio di oggi 22.5.2017