Inchiesta Consip, Bechis sul pm Woodcock: i legami con Matteo Renzi
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Nelle quasi mille pagine di informativa finora depositata nella maxi inchiesta Consip c' è probabilmente la possibilità di istruire dieci o dodici processi
di Franco Bechis , Libero 15.3.2017
I carabinieri del Noe e la procura di Napoli con il suo magistrato inquirente di punta, John H. Woodcock, si sono in due anni di indagini imbattuti in numerose ipotesi di violazione della legge. Al centro di gran parte di queste c' è Alfredo Romeo, il titolare dell' omonimo gruppo specializzato nel facility e nel property management e pronto a concorrere per l' ennesima volta ai maxi appalti gestiti dalla Consob. Il fatto però è che nessuno dei filoni di inchiesta è stato chiuso, magari rinforzato di altri elementi di prova e inviato al gip con buona speranza di istruire un processo. Navigando in quelle carte sembra che in ogni singolo episodio prima di chiudere nasca il germe di una pista di indagine successiva. È così che da una pista non banale sugli appalti dell' ospedale Cardarelli di Napoli, nel mezzo di uno sciopero di capisquadra di cantiere in cui si scorge un evidente scontro fra famiglie camorristiche si arriva alla fine passando da un girone infernale a un altro ai casi che hanno fatto più clamore: quello che coinvolge il ministro dello sport Luca Lotti e quello che ha portato ad indagare Tiziano Renzi, il papà dell' ex premier. L' impressione dalla lettura delle carte è che proprio questi due filoni così rilevanti sul piano politico siano i meno irrobustiti da elementi di prova e perfino da robusti indizi.
Cominciamo dal caso Lotti.
Nella documentazione non c' è sostanzialmente nulla più di quel che sapevamo a dicembre quando divenne pubblico l' avviso di garanzia per il ministro. I fatti sono noti: qualcuno ha avvisato l' amministratore delegato della Consip, Luigi Marroni, di intercettazioni telefoniche e ambientali cui era sottoposto anche in ufficio. Marroni sapeva di essere ascoltato quindi e nonostante questo compie un atto fra i meno comprensibili che ci sia: parla davanti alle microspie avvertendo quindi la procura (e lui lo sa) di volere procedere a una bonifica che viene fissata per un giorno, e poi rinviata al giorno dopo. È lui stesso così a mettersi nei guai avvertendo gli inquirenti della fuga di notizie.
Molti altri al suo posto avrebbero recitato da quel momento in poi: parlando in ufficio del più o del meno, magari tessendo in quei luoghi e al telefono lodi sperticate della magistratura, magari pure di quella napoletana dove c' è quel grande inquirente, che è Woodcock. Invece no: avverte la magistratura di fatto della fuga di notizie e procede alla bonifica. Anzi, non procede nemmeno, perché nel frattempo con una scusa i carabinieri arrivano in ufficio e tentano di spegnere le microspie mentre compiono una formale acquisizione di carte.
Non ce la fanno con una di queste. Marroni, peraltro spaventato, va dai magistrati e racconta tutto quello che sa. È da lui che vengono le notizie determinanti su Lotti e pure su papà Renzi, che a suo dire gli avrebbe raccomandato un amico imprenditore, Carlo Russo, che vorrebbe correre per gli appalti Consip. Marroni elenca i vari avvertimenti che aveva avuto sull' inchiesta in corso, e dice che uno di questi è arrivato proprio da Lotti. Non c' è prova però, perché non ci sono nemmeno intercettazioni depositate che lo dimostrerebbero. Il ministro nega, e in questo momento c' è la parola dell' uno contro quella dell' altro. Ci sono altri personaggi (come Filippo Vannoni di Publiacqua) che ricordano di avere saputo qualcosa da Lotti su quella inchiesta. Ma vagamente, tanto è che non ricordano se la notizia fosse arrivata da lui o dal «suo braccio destro». È chiaro che serve altro materiale probatorio.
Il nome del papà di Renzi invece percorre molti capitoli dell' inchiesta. Ma è soprattutto speso come una carta di credito da questo suo amico, il Russo. Non è escluso che millanti quel credito, e in ogni intercettazione di colloquio questo imprenditore sembra spararla più grossa di quel che è. Forse qualcosa di più sarebbe stato possibile conoscere se i gip avessero concesso subito ai pm di intercettare Tiziano Renzi. Ma l' autorizzazione curiosamente arriva solo il 5 dicembre 2016, il giorno dopo il referendum, quando il figlio Matteo ha già annunciato le dimissioni da palazzo Chigi. Due giorni dopo per interposta persona il Russo viene avvertito di non chiamare né scrivere più sms a papà Renzi. Sembrerebbe che qualcuno lo avesse avvertito di questa intercettazione. I magistrati seguono subito una pista, ma oggi sappiamo che non è buona: lo strano incontro a Fiumicino il 7 dicembre con un personaggio così importante per Tiziano Renzi che lui per vederlo poco più di mezz' ora in aeroporto si fa più di 600 km in auto. Ma ora sappiamo che quel personaggio è un fornitore del «babbo», non uno 007 o un agente in grado di fornire la soffiata sulla intercettazione. Manca anche qui la prova necessaria a fissare l' accusa.
Il Russo peraltro sembra giocare più per se stesso che per altri. Tanto è che prima del referendum, dopo avere rassicurato Romeo di una sicura vittoria di Renzi nelle urne (gli dice che sono certi avendo visto le rilevazioni di Jim Messina, il guru Usa che ha seguito la campagna referendaria), nella settimana che precede il responso invece sembra pensare alla sconfitta e alla caduta di Renzi.
Quindi fa pressing su Romeo per ottenere prima del 4 dicembre la formalizzazione di un contratto di collaborazione sicuro. E per fare vedere a Romeo che lui è utile anche senza avere i contatti di Renzi, si rivolge a un amico di una coop rossa per fare incontrare all' imprenditore napoletano una alta dirigente dell' Inps, che sta preparando un progetto di valorizzazione degli immobili che potrebbe interessare Romeo. Questo ultimo business e il contratto per Russo sfuma proprio per l' esplodere della inchiesta, che diventa pubblica proprio con l' avviso di garanzia a Lotti.
@FrancoBechis
Categoria Italia