Milanese assolto, la gogna resta
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Crolla il castello di carte della procura, ma ormai il linciaggio c’è stato
di Redazione Foglio 30 Gennaio 2017 alle 20:38 Foglio
L’ex deputato Marco Milanese è stato assolto in appello per la vendita di una barca che, nel giudizio di primo grado, gli era costata una condanna a otto mesi, perché il tribunale aveva ritenuto che quella transazione fosse avvenuta in cambio di una nomina nell’Enav. Ora ci si rende conto che i fatti contestati non costituiscono reato, il che peraltro rende assai fragile l’impostazione sostenuta dall’accusa nell’altro procedimento, quello per corruzione, che è derivato da questo.
Cadono, insomma, le ipotesi su cui s’era costruito uno schema accusatorio accompagnato da ampia risonanza mediatica, in virtù del ruolo esercitato da Milanese nello staff dell’allora ministro Giulio Tremonti. Si vedrà ora se, dopo il crollo del castello di carte in un filone dell’inchiesta romana – che probabilmente avrà un effetto domino anche sull’altro (visto che è difficile sostenere che una transazione che non costituisce reato possa essere considerata la contropartita di un atto corruttivo) – anche la condanna milanese per l’evanescente reato di “traffico di influenze” farà la stessa fine in appello.
A ripetere che molti di questi procedimenti iniziati con la grancassa del ludibrio mediatico finiscono poi in nulla, si rischia di apparire noiosi. Ma sarebbe importante che sull’estensione ormai dilagante di questi fenomeni si aprisse una riflessione che induca la magistratura a un atteggiamento meno sbarazzino e la stampa a dare eguale rilievo alle condanne iniziali e alle assoluzioni successive. Altrimenti, per il mancato rispetto del principio di innocenza fino a condanna passata in giudicato, ci si rende complici di massacri ingiustificati.
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