“Non c’è dubbio…”. Diffidare delle inchieste mediatico-giudiziarie che iniziano così
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Repubblica racconta con toni apocalittici l’ultima inchiesta fatta a colpi di intercettazioni telefoniche che vede coinvolti uomini di sottogoverno e aziende pubbliche. Millanterie o fatti accertati? Prima di gridare allo scandalo si pensi a come sono finite le ultime inchieste su casi simili
di Redazione | 05 Luglio 2016 ore 11:51 Foglio
Il più recente scandalo, che riguarda traffici piuttosto complicati nel sottogoverno e nelle aziende pubbliche, viene largamente illustrato dalla stampa, com’è naturale, ma assume un carattere quasi apocalittico su Repubblica, che dedica le prime cinque pagine del quotidiano a trascrizioni di intercettazioni e commenti sulfurei. “Non c’è dubbio…”, comincia uno di questi articoli, e questo dà la misura del tono asseverativo di tutta l’operazione giornalistica. Invece, come sempre in questi casi, di dubbi ce ne sono, o almeno dovrebbero essercene.
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Qualcuno ricorda come fu raccontata all’inizio l’inchiesta sulla “cupola milanese”? Sembrava che il gruppetto di ex esponenti politici collegati a Stefano Frigerio fosse una specie di Spectre in grado di orientare o addirittura di determinare tutte le scelte delle amministrazioni e delle società pubbliche. Alla fine ci si rese conto che le frasi raccolte nelle intercettazioni erano l’espressione di millanterie prive di fondamento, volte ad assicurare qualche modesto introito e niente di più. Qualcosa di simile è accaduto anche con Mafia Capitale, visto che alla fine di collegamenti con la criminalità organizzata siciliana o campana non si sono trovate prove.
Perché allora resta così irresistibile l’attrattiva dello scandalismo? Intanto perché le notizie strabilianti dei primi giorni raggiungono un effetto mediatico colossale, mentre le smentite, comprese quelle contenute in sentenze della magistratura, arrivano dopo mesi o anni e finiscono quando va bene in un trafiletto confinato nelle pagine interne. Oltre a questa spiegazione legata al marketing mediatico, probabilmente ce ne sono altre più complesse, legate a un’interpretazione un po’ unilaterale del ruolo della stampa (per non parlare del circuito mediatico-giudiziario) come “cane da guardia del potere”.
Che in questo vi sia il rischio di un degrado dello stato di diritto pare non interessare nessuno. La politica ha ceduto a queste poderose pressioni approvando una legge assai confusa e generica sul “traffico di influenze” che potrebbe trasformare le millanterie in reati e mettere nei guai anche chi pur non avendo fatto nulla di direttamente illecito, può essere accusato di avere esercitato o lasciato esercitare “influenze”. Si vedrà dall’evoluzione delle indagini e nei vari gradi di giudizio che cosa resterà in piedi di quello che, come gli altri dei mesi scorsi, viene presentato come lo scandalo del secolo. Intanto si crea un clima lutulento in cui tutte le nomine sono “pilotate”, tutti gli appalti sono “contrattati” prima ancora che si sia verificata la fondatezza delle chiacchiere telefoniche autopromozionali che vengono divulgate come se fossero vangelo. Quando si comincia con “non c’è dubbio” si finisce così.
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