Ripetizioni per il dottor Davigo
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Tutte le inesattezze del presidente dell’Anm: i magistrati italiani non sono i più produttivi, non fanno meno intercettazioni e la corruzione non dilaga. Inchiesta
di Luciano Capone e di Davide Maria De Luca | 25 Maggio 2016 ore 13:05 Foglio
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Sia il vostro dire sì sì, no no. Il di più viene dal maligno”, ama dire ispirandosi al Vangelo Piercamillo Davigo nelle sue numerose interviste. Quindi, messi di fronte all’alternativa evangelica, alla domanda “Quando espone numeri e dati sulla giustizia, Davigo dice balle?” non si può che rispondere “sì sì”. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) ripete spesso in televisione e sui giornali che i giudici non c’entrano nulla con i problemi della giustizia in Italia perché sono i più produttivi d’Europa: il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi. A certificarlo sarebbe la “Commissione europea per l’efficienza della giustizia” (Cepej), un organo del Consiglio d’Europa – un’organizzazione che, nonostante il nome, non c’entra nulla con l’Unione europea. Ma non è vero: nelle 545 pagine dell’ultimo rapporto Cepej non c’è una sola tabella che certifichi l’elevatissima produttività dei magistrati italiani. Anzi, gli autori concludono che non è possibile stilare classifiche, vista l’eterogeneità dei dati disponibili e degli ordinamenti.
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Per arrivare al suo indice di produttività, Davigo è stato costretto a rielaborare e a mischiare l’uno con l’altro alcuni dei dati presenti nel rapporto. Prima prende il numero di “procedimenti penali” che vengono definiti in un anno e poi li divide per il numero di magistrati che si occupano di penale (anche se in realtà non sappiamo quanti sono visto che nel nostro paese a volte capita che un giudice che di solito si dedica ad altro venga “prestato” al penale). Grazie a questo conteggio, Davigo può dire che i magistrati italiani “definiscono” quattro volte più provvedimenti dei tedeschi. Ma è davvero una misura della produttività dei giudici? In Italia, l’elenco dei “procedimenti penali definiti” è un mare magnum che comprende ogni singolo atto uscito da un ufficio di primo grado: tribunale ordinario e giudice di pace, ma anche uffici del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell’udienza preliminare; contiene le sentenze vere e proprie, ma anche le archiviazioni, come quelle per le tante indagini farlocche, contiene le dichiarazioni di incompetenza per ragioni territoriali, i rinvii a giudizio e i decreti penali. Negli altri sistemi giudiziari non tutti questi atti hanno bisogno di un “bollino” da parte di un magistrato e quindi sfuggono alla classifica. In Germania, ad esempio, un pm può archiviare un’inchiesta senza bisogno di coinvolgere un giudice, mentre in Italia c’è sempre bisogno che un giudice si esprima con una sentenza. Ma soprattutto, questo indice non dice nulla su come sono fatti questi atti: il giudice li ha scritti per bene, o ha fatto copia incolla dalle carte del pm per fare in fretta?
Paradossalmente, se dovessimo usare questo indice, un magistrato che archivia o vidima tutto ciò che gli passa sotto gli occhi senza prestare alcuna attenzione risulterebbe un magistrato super-produttivo. Non è un caso se in questa classifica uno dei paesi con il sistema giudiziario più efficiente è la Turchia di Erdogan, che non è proprio il modello a cui un paese civile ambisce. Sul Foglio abbiamo più volte smentito la falsa affermazione sulla iper produttività dei magistrati italiani diffusa dall’Anm e a cascata dagli organi d’informazione. Può sembrare noioso ribadirlo, ma fino a quando Davigo continua a ripeterlo c’è bisogno di qualcuno che con altrettanta ostinazione ricordi che non è vero. Un dato che dovrebbe invece farci riflettere sulla produttività del comparto giustizia, la Cepej lo indica davvero. Dal 2004 al 2012 la spesa per il sistema giudiziario in Italia è aumentata di 600 milioni ed è ai livelli più alti d’Europa: “In Italia – scrive la Cepej – l’aumento del budget della giustizia registrato nell’ultimo decennio è dovuto all’aumento del costo dei giudici. Gli altri capitoli di spesa non hanno avuto nessun aumento sostanziale”. In pratica le risorse che potevano servire per informatizzare il sistema e aumentare realmente la produttività sono andate nelle tasche dei magistrati, spesa corrente anziché investimenti. Così in Europa la giustizia italiana è tra le più lente e i magistrati sono tra i più pagati, due indicatori che ci dicono qualcosa di diverso sulla produttività rispetto alle classifiche cucinate in casa dall’Anm.
Sulle intercettazioni, il presidente dell’Anm ha affermato che è falso che in Italia se ne facciano di più rispetto ad altri paesi europei. Secondo Davigo “in Italia si fanno più intercettazioni giudiziarie che in altri paesi, ma perché la Costituzione prevede che le intercettazioni si possano fare solo previa autorizzazione del magistrato, mentre all’estero le può fare l’esecutivo”, e quindi “se facciamo il confronto con le intercettazioni che fanno altrove le autorità amministrative vediamo che ne fanno molte più di quante se ne facciano in Italia”. Anche in questo caso l’ex pm del pool di Mani pulite fa affermazioni lontane dal vero. Prendiamo la Germania, dove esattamente come in Italia soltanto i giudici possono autorizzare le intercettazioni. Nel 2014, ultimo anno disponibile, sono state intercettate 29.287 utenze. In Italia, nel 2013, sono state ben 141.774: quasi cinque volte tanto, nonostante il nostro paese abbia un terzo in meno degli abitanti rispetto alla Germania. In genere, i difensori delle intercettazioni sostengono che sono necessarie perché in Italia c’è più criminalità e perché c’è la mafia. In realtà, ogni anno in Germania vengono denunciati molti più delitti che in Italia (come è ovvio, essendo un paese molto più grande), mentre nel nostro paese le intercettazioni chieste dalle procure ordinarie sono 90 mila, da sole tre volte più che in Germania.
Curiosamente, le Direzioni distrettuali antimafia hanno chiesto 50 mila intercettazioni nel 2013, un numero in calo rispetto alle 60 mila del 2009. E per quanto riguarda le intercettazioni “amministrative” di cui parla Davigo? Il Regno Unito è uno di quei paesi in cui le intercettazioni possono essere autorizzate anche dal governo, ma ha anche altre particolarità. Ad esempio, non possono essere usate in tribunale. Una commissione governativa tiene il conto e pubblica i dati aggiornati di tutte le intercettazioni svolte in un anno: nel 2014 sono stata 2.795, cinquanta volte meno di quelle fatte in Italia. A questo andrebbe aggiunto un altro elemento: fino a poco tempo fa l’Italia era effettivamente un paese “europeo” per numero di intercettazioni, ma le cose sono cambiate negli ultimi anni. Tra il 2003 e il 2013 le utenze intercettate sono cresciute dell’82 per cento.
L’altro tema forte di Davigo, di cui parla in ogni intervista perché ritenuto uno dei massimi esperti, è la corruzione. Ma anche in questo caso il presidente dell’Anm diffonde informazioni scorrette. Quando è intervenuto sul tema ha citato tre diversi dati e fonti. Ha detto che di corruzione “se ne parla in maniera superficiale e approssimativa: i famosi 60 miliardi sono una bufala”. In questo caso Davigo ha perfettamente ragione. Come hanno scoperto prima alcuni giornalisti, e poi confermato l’Istat e l’Anac (l’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone), si tratta di una cifra inventata, senza alcun fondamento, che purtroppo continua ad essere diffusa e considerata realistica da giornalisti come Marco Travaglio e magistrati come Roberto Scarpinato (chissà se dopo la smentita di Davigo eviteranno di usarla). Il problema è che subito dopo Davigo aggiunge che la bufala dei 60 miliardi di corruzione è “una cifra sbagliata per difetto, nel senso che la corruzione costa molto di più, perché un conto è calcolare il maggior costo di un’opera in relazione alla mazzetta pagata, un conto è calcolare che vengono create opere inutili e malfatte”. Sorprende che un magistrato, e il presidente dell’Anm in particolare, faccia affermazioni di una tale gravità perché chiunque dovrebbe riconoscere che corruzione e sprechi sono cose completamente distinte: ci possono essere opere utili con corruzione e opere inutili senza corruzione. Sono entrambe cose disdicevoli, sia la corruzione che lo spreco di risorse pubbliche, ma solo una delle due è un reato che deve essere perseguito dai magistrati ed è improprio mescolare tutto facendo credere che si tratti della stessa cosa. Ad esempio tutti i giorni vediamo inchieste e processi che rappresentano un enorme spreco di risorse, ma vengono celebrati in maniera legittima e legale e nessun magistrato, neppure Davigo, si sognerebbe di incriminare i propri colleghi per corruzione.
Davigo cita poi altre due fonti per spiegare quanto sia preoccupante il livello di corruzione in Italia: “I dati di ong come Transparency indicano l’Italia come uno dei paesi ritenuti più corrotti in Europa nella percezione degli operatori”. Qui bisogna sottolineare un punto, cioè il solco particolarmente profondo che in Italia separa la percezione comune dalla realtà, soprattutto per quanto riguarda la corruzione. Davigo ha ragione quando dice che Transparency International indica l’Italia come un paese con un’alta percezione della corruzione - la più alta di tutto il continente. Sono dati confermati dall’indagine Eurobarometro sulla corruzione, un sondaggio d’opinione realizzato dalla Commissione europea, che ha rilevato come il 97% degli italiani ritenga la corruzione un fenomeno dilagante (contro una media europea del 76%). Le cose però cambiano quando si chiede agli italiani se hanno mai avuto esperienze dirette di corruzione. Nello stesso sondaggio, Eurobarometro ha chiesto ai cittadini europei se hanno pagato o hanno visto pagare una tangente nell’ultimo anno: nel 2012, solo il 6 per cento degli italiani ha risposto di sì, la stessa percentuale dei francesi, meno di belgi, olandesi, irlandesi, spagnoli, austriaci e meno della media europea. Alla domanda se conosco qualcuno che prende o ha mai preso tangenti, il 9 per cento degli italiani ha risposto di sì. In tutta Europa soltanto irlandesi, inglesi e abitanti del Principato di Monaco conoscono meno corrotti. Ciò non vuol dire che in Italia la corruzione non sia un problema. Come ha ribadito proprio ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in un convegno sul tema, “nell’attuale contesto italiano il problema è ancora più rilevante e urgente” perché “il fenomeno della corruzione purtroppo è diffuso come in altri Paesi”. Allo stesso modo il presidente dell’Anac Cantone, nello stesso convegno in cui era presente Visco, ha ricordato che “la lotta alla corruzione non è solo lotta al malaffare ma lotta ad uno dei più gravi problemi del paese perché blocca l'economia”.
I dati dell’Eurobarometro non servono quindi a sottovalutare o addirittura negare la gravità della corruzione, ma mostrano un divario molto ampio nell’opinione pubblica tra la percezione delle cose e la realtà effettiva. Tra l’altro la percezione dei fenomeni sociali in Italia è la più distorta d’Europa su una serie di questioni che vanno dall’immigrazione alla religione, dall’economia alla salute e su questo anche i media dovrebbero porsi degli interrogativi. Proprio sul ruolo negativo degli organi d’informazione sulla distorsione della percezione della corruzione, che si riflette poi sugli indici internazionali citati da Davigo, la Banca d’Italia ha recentemente pubblicato uno studio dal titolo “L’impatto dei media sulla percezione della corruzione”che mostra “il ruolo determinante dei media italiani nell’influenzare le scelte e gli atteggiamenti individuali”. In pratica la stampa, attraverso uno stile scandalistico e la diffusione di informazioni false (la cifra dei 60 miliardi di corruzione è un caso di scuola), alimenta la percezione della corruzione facendo passare le impressioni e le emozioni per fatti.
Il paradosso è stato evidenziato proprio da chi questi temi li studia seriamente e non si limita a estemporanee dichiarazioni in tv. In un convegno sulla misurazione e sul contrasto della corruzione, organizzato dall’Istat e dall’Anac e in cui sono intervenuti i rispettivi presidenti, Giorgio Alleva e Raffaele Cantone, il concetto è stato ribadito da Giuseppe Abbatino dell’Autorità anticorruzione: “L’Italia si trova a essere negli indici internazionali soggettivi di percezione come uno dei paesi in cui la corruzione percepita è ai livelli più alti. Ma nell’Eurobarometro del 2014 della Commissione europea, laddove invece erano fatte domande sull’esperienza della corruzione e quindi sulla conoscenza diretta del fenomeno della corruzione, l’Italia si colloca incredibilmente tra i paesi europei in cui questo fenomeno è a livello più basso”. Questi dati sono confermati anche da Transparency International, che oltre alla sua annuale e stracitata classifica sulla percezione della corruzione, nel 2013 ha prodotto un sondaggio in cui agli abitanti di una serie di paesi venivano rivolte domande simili a quelle di Eurobarometro. I risultati dell’indagine confermano quelli di Eurobarometro, con gli italiani che hanno dichiarato di aver pagato meno tangenti degli svizzeri. Tra l’altro una di queste domande chiedeva quale tra i servizi della pubblica amministrazione con cui i cittadini sono entrati in contatto si fosse rivelato più corrotto: curiosamente, ma non troppo, gli italiani hanno dato il primo posto proprio alla giustizia.
In una discussione seria sui temi della giustizia, per evitare di inquinare il dibattito pubblico e amplificare una percezione errata dei fenomeni, bisogna cercare di tenere distinti i fatti dalle opinioni, perché come dice un vecchio adagio “ognuno ha diritto alle proprie opinioni, ma non ai propri fatti”. E questo vale soprattutto per chi, per il lavoro che svolge, dovrebbe avere massimo rispetto per i fatti e dovrebbe tenerli in considerazione più delle proprie opinioni.
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Commenti
Mario Patrizio • 3 ore fa
Solo che è più popolare dare ai media, e al pubblico, ciò che si aspetta di avere. E così fa gioco proporre iniziative più restrittive, dalla prescrizione alle pene, invece della semplificazione e della riduzione del potere in mano alle pubbliche amministrazioni, viatico per la ricerca di scorciatoie con l'acquiescenza di regolatori e controllori. Il bello è che l'insieme delle norme affidate alle funzioni dello stato, ha come motivazione l'equità e la correttezza delle condotte. Penso che se ne sono accorti, ma che non funziona nei seggi elettorali. Ci pensate a cosa succederebbe nei media? Tante buone battaglie e tutto come prima.