I giudici sono "semplici cittadini" solo quando fa comodo a loro
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Per Nello Rossi, avvocato della Cassazione, le toghe possono esprimere le proprie posizioni politiche "come i professori di diritto costituzionale". Ma l'esercizio della loro funzione pubblica, come ricordano Costituzione e Csm, richiede "terzietà e imparzialità". Cc: Beppe Grillo
di Redazione | 12 Maggio 2016 ore 13:35 Foglio
“Di fronte al referendum i magistrati, come i professori di diritto costituzionale, ritornano semplici cittadini”: è con queste parole che Nello Rossi, ex procuratore aggiunto a Roma e oggi avvocato generale della Cassazione, ha difeso in un’intervista a Repubblica il diritto dei magistrati a schierarsi nelle questioni politiche, come sta accandendo attorno al referendum costituzionale del prossimo ottobre, con la campagna del “no” di Magistratura democratica e il discusso caso Morosini.
Secondo Rossi (in passato presidente di Md) non c’è nulla di strano che i magistrati esprimano le proprie posizioni politiche, perché – spiega – lo fanno “senza alcuna autorevolezza aggiuntiva”, “con i loro dubbi, le loro incertezze, le loro divisioni ideali, le loro discutibilissime opinioni”. Una strana contraddizione sembra dunque animare una parte del mondo togato: in prima linea a rivendicare la propria autonomia e indipendenza nei confronti degli altri poteri dello stato, ma allo stesso tempo sempre pronta a ignorare ogni riflessione circa le responsabilità che tale ruolo comporta.
A dire chiaramente, infatti, che i magistrati non sono dei “semplici cittadini” è la stessa Costituzione italiana, che alle toghe – a differenza dei professori di diritto costituzionale – affida lo svolgimento di una funzione pubblica, quella giudiziaria, a cui viene garantita indipendenza e autonomia, ma anche riconosciuta una fondamentale responsabilità in termini di imparzialità e terzietà. Principi cardine che vengono richiamati, ancor più paradossalmente, dallo stesso Consiglio superiore della magistratura (di cui Piergiorgio Morosini fa parte).
E’ l’organo di autogoverno dei magistrati a sottolineare infatti chiaramente, sul suo sito, “la necessità che ai giudici sia garantita indipendenza e autonomia, perché nell’esercizio della loro funzione essi devono non solo essere, ma anche apparire come terzi imparziali”. “Anzi – prosegue il Csm – terzietà e imparzialità sono assunte come le caratteristiche che consentono di distinguere i giudici dagli altri organismi che esercitano funzioni statali diverse”.
Altro che professori di diritto costituzionale, dunque: è lo stesso Csm a dire che i magistrati svolgono una funzione pubblica diversa da tutte le altre, e che questa peculiarità deriva dai loro obblighi di “terzietà e imparzialità”. Ne pare consapevole il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che in un’intervista di oggi al Corriere della sera, definisce “discutibile” l’impegno di alcune toghe nella campagna referendaria: “I giudici valutino il peso delle loro parole”. Una lezione che potrebbe far comodo tenere a mente anche a Beppe Grillo.
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COMMENTI
Moreno Lupi • 2 ore fa
Al direttore – Andiamo al sodo, Nun c'è bisogno 'a zingara p'andiviná, Cuncè'. La posizione, lo status, il ruolo di magistrato, pm, giudice, procuratore, ecc., delinea un’area di potere concreto, autogestito, svincolato dalle influenze politiche. Sarebbe l’ideale se lo status, il potere che hanno, non lo usassero per “fare politica”. Cioè debordando dai loro compiti istituzionali che la “funzione” loro attribuisce. Inutile girarci intono, tutta la querelle nasce dal superamento dei loro compiti istituzionali. Tutta l’avversità della parte politicizzata della magistratura deriva dal timore che un governo, una politica, affrancata dalle loro ingerenze e dai loro poteri d’interdizione, possano ribaltare la situazione attuale a loro sfavore. Poi immergiamoci pure nell'oceano delle dispute e distinguo, fanno parte del gioco. Così, andivinerebbe, la zingara se consultata p’andivinare.
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