Il Pd è nato ieri sera

E’ stato un capolavoro quello di Pier Luigi Bersani. Ha accettato la sfida di Renzi,

ha detto di “sì” alle primarie, ha sfidato – in questo – il patto di sindacato del Pd (ché se fosse stato per D’Alema, per Bindi, per Letta, per Marini, per Franceschini, col piffero che si sarebbero fatte queste primarie) e oggi è il leader di centrosinistra più forte che il centrosinistra abbia mai avuto negli ultimi trent’anni. Più forte di Prodi, di Veltroni, del Bersani delle primarie del 2009 non tanto per i numeri degli elettori quanto per il fatto che è la prima volta che il centrosinistra organizza delle primarie vere in cui il vincitore non era così scontato fin dall’inizio come era stato nel 2005, nel 2007, nel 2009. Bersani ha la possibilità dunque di essere un Prodi più forte dell’ultimo Prodi ma come Prodi ha e avrà il compito non facile di federare il centrosinistra all’interno di una coalizione che sarà destinata ad allargarsi sempre sempre sempre di più e che per forza di cose non potrà non assomigliare alla vecchia Unione prodiana. Compito di Bersani nei prossimi mesi sarà quello di dare una forma a questa nuova creatura e dimostrare che le primarie che si sono chiuse ieri sono primarie per la premiership e non – il rischio c’è davvero –  primarie per la vicepremiership. Dall’altra parte Renzi ha compiuto a suo modo un piccolo capolavoro: non solo per i numeri, per il risultato soprattutto al primo turno quanto perché per la prima volta nella storia recente del centrosinistra le primarie hanno dimostrato che le sue idee non sono idee eversive di una specie di cavallo di troia della “destra” ma sono idee che fanno parte del patrimonio del centrosinistra: idee che hanno un suo peso, un suo consenso, una sua profondità e che per forza di cosa influenzeranno la corsa del centrosinistra per le prossime politiche (e al Vendola che in queste ore festeggia come se avesse vinto lui le primarie del centrosinistra andrebbe ricordato che negli equilibri futuri della coalizione conterà molto il fatto che Matteo Renzi è arrivato al ballottaggio mentre il governatore pugliese semplicemente no). Renzi e Bersani, insomma, rappresentano due forme diverse e due modi diversi di intendere il centrosinistra ma per la prima volta nella storia recente soprattutto del Pd i due modi diversi di intendere la sinistra sembrano essere complementari, come se fossero due facce della stessa moneta che hanno bisogno di vivere insieme per dare un valore e un peso a quella stessa moneta. Da ieri sera, insomma, il centrosinistra, e soprattutto il Pd, è una realtà più matura rispetto a quella che abbiamo visto nel passato e per certi versi il ticket virtuale Bersani-Renzi proietta il centrosinistra in uno scenario politico più simile a quello anglosassone (Bersani e Renzi, in fondo, non hanno nulla da invidiare a Ed e David Miliband) che a quello francese a cui Bersani non ha fatto mistero di ispirarsi durante tutta la sua campagna elettorale. Da ieri, per capirci, c’è un Pd nuovo che non sarà facile tenere insieme (ricordatevi che i sondaggi che avete visto finora sono in parte drogati perché tenevano insieme tutti i renziani e tutti i bersaniani mentre ora molti elettori renziani di fronte alla vittoria di Bersani non è escluso che scelgano un’altra strada) ma c’è soprattutto un partito come quello Democratico che dopo cinque anni di gestazione sembra essere finalmente nato. Bersani, dunque, ha di fronte a sé tutti gli ingredienti per organizzare una bella cavalcata ma da oggi in poi avrà anche il dovere di dimostrare due cose: di non essere il capo di una Armata Brancaleone e di avere in tasca le cartucce giuste per battere quello che sarà il suo vero competitor da qui alle prossime elezioni: non Montezemolo, non Berlusconi, non Alfano, non Maroni ma semplicemente il presidente del Consiglio Mario Monti. Di Claudio Cerasa ,il Foglio-3/12

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