Scalfaro, l'uomo nero della Repubblica
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In un libro il ruolo dell’ex presidente Scalfaro durante Mani Pulite: bloccò Amato e
Ciampi in cerca di una soluzione politica L’Italia del cruciale ventennio 1992-2012 è il cuore di «Ascesa & declino della Seconda Repubblica», il nuovo libro del giornalista Lodovico Festa (240 pagine, Edizioni Ares), presentato ieri alla Camera dei deputati.
Pubblichiamo ampi stralci del paragrafo «L’uomo nero degli anni Novanta» sul ruolo di Oscar Luigi Scalfaro.
Alla fine il vero «uomo nero» nella crisi della Repubblica è Oscar Luigi Scalfaro: lui blocca Amato e Ciampi impegnati a cercare una via per uscire politicamente da Mani Pulite, lui accetta i diktat di Borrelli, lui acconsente al martirio di Andreotti, lui impedisce (...) «la verità» sia sui passi di Conso sul 41bis, sia sui fondi del Sisde. Lui assiste alla incredibile persecuzione «preventiva» di Berlusconi perché e entrato in politica, lui chiude gli occhi di fronte a «proclami» e «offese» al Parlamento da parte del Pool. Lui salva la Lega dal voto anticipato, pasticcia contro la sovranità popolare, non aiuta D’Alema che cerca di trovare un assestamento della Repubblica finendo aggredito da qualcuno dei soliti pm. Non c’è spiraglio per uscire dalla intricata crisi dello Stato che non sia chiuso da Scalfaro. Poi, lasciato il Quirinale, stancamente diventerà il santone della più ipocrita conservazione, continuando a ostacolare attivamente tutti gli sforzi - talvolta peraltro obiettivamente maldestri - di innovare la Costituzione.
In fin dei conti Scalfaro era un esponente del moderatismo liberal-cattolico impostato in Italia da Luigi Sturzo e sviluppato da un democratico coerente, capace di assumersi dure responsabilità come Mario Scelba: da queste radici avrebbe potuto derivare un ben altro impegno per il bene della nazione.
Invece è prevalsa una visione meschina, chiusa, priva di prospettive. Al fondo aveva ragione Nilde Jotti che nel 1992 si oppose, nella direzione del Pds, alla scelta di Scalfaro come presidente. La vedova di Togliatti, particolarmente autorevole e libera grazie al peso della sua storia personale, non ebbe dubbi nel denunciare il carattere incapace di aperture del candidato al Quirinale. Ed è su questo punto che si deve riflettere per capire che cosa sia avvenuto.
Finita la fase delle «certezze» nelle quali Scalfaro si schiera prima contro le aperture al Psi negli anni Sessanta, poi contro quelle al Pci negli anni Settanta, con gli anni Ottanta si apre una fase di movimento in cui non è più semplice definire che cosa sia la tranquilla «conservazione» e che cosa il fastidioso «progresso». Scalfaro assolve senza dubbio con scrupolo il ruolo di ministro dell’Interno nel governo Craxi, grazie anche alla leale amicizia di Vincenzo Parisi, che lui nominerà capo della Polizia. Ma sono evidenti le contraddizioni anche psicologiche che quella stessa fase determina: il leader socialista è un innovatore, vuole la Grande riforma; i veri conservatori sono i comunisti che non vogliono si tocchi la Costituzione (e innanzi tutto il sistema proporzionale). La fine della Guerra fredda apre questioni in cui combinare morale e politica, dopo una fase così ben ordinata dalla lotta tra comunismo e democrazie liberali, diventa complicato.
In questo contesto una personalità chiusa - come con sagacia aveva spiegato la Jotti - trasforma il suo conservatorismo etico (le sgridate alle donne sbracciate) e politico (pur nobile nella versione scelbiana), in un mero conservatorismo istituzionale. Naturalmente una certa mediocrità politico-culturale (d’altra parte quel grande partito che era la Dc non gli aveva mai dato ruoli significativi e agli Interni arriva più come uomo degli apparati che come politico) pesa in modo decisivo: al dunque quando la storia sta svoltando, la capacità di immaginare il nuovo diventa fondamentale e se non ce l’hai, non te la puoi dare.
Questo è il processo che trasforma Scalfaro nel leader del parlamentarismo più integrale, quello che ancora adesso trascina nel baratro la Repubblica.
Lo fa diventare il principale antagonista di Cossiga che, pur con qualche confusione, cerca di indicare vie nuove per le istituzioni. Lo fa incontrare con un Pannella che tanto è geniale nel suo movimentismo nella società, tanto è deleterio nel suo disgregare quel minimo tessuto politico-istituzionale che può consentire una riforma coerente dello Stato. Lo fa essere al momento giusto nel punto giusto quando Craxi, Forlani e Andreotti non comprendono la gravità della crisi e si concentrano in litigi tra loro, la mafia decide di colpire Andreotti e la situazione precipita. (...). 28.6.2012