La giustizia è fallita» Schiavon lascia il tribunale
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Decisione clamorosa del presidente del Tribunale di Treviso che lascia la magistratura per
protestare contro il dissesto della giustizia in Italia
Non è mai stato nel suo stile smussare i toni o arrotondare gli spigoli. Impetuoso e «sanguigno» come lui stesso si è definito, Giovanni Schiavon ha ufficializzato ieri la decisione-choc di dimettersi sia da presidente del tribunale che da magistrato con decorrenza da lunedì prossimo. Lo ha fatto con toni durissimi: «Me ne vado sbattendo la porta», ha detto, «la nausea è crescente e mi riferisco a come questo Stato concepisce il servizio-giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura che è solo un organo di potere». Ha assicurato però, con una nota scritta, che continuerà a mantenere il suo impegno civile «perché inefficienze, burocratismi e diffuse prevaricazioni statalistiche, provenienti da ben noti gruppi di potere, non continuino a far prevalere l’interesse di pochi su quello della collettività».
Presidente Schiavon, una decisione drastica: lascia non solo la presidenza, ma addirittura la magistratura, la scelta di una vita.
«Ho cercato di cambiare la società, il Servizio di Giustizia da magistrato. Impossibile. Credo di aver fatto il mio dovere, ma ora la nausea è crescente. Sono stufo e sono da solo».
Nausea per che cosa, presidente?
«Mi riferisco al Csm e a come questo Stato concepisce il Servizio Giustizia».
Di cosa accusa il Csm?
«È solo un organo di potere. Per poter vivere tranquillo come magistrato bisogna non pestare i piedi a nessuno e bisogna farsi proteggere dalle correnti. Tutto è lottizzato, tutto è monopolizzato. Quando uno capisce questo se ne deve andare. Tutti lo sanno, ma io posso permettermi di andarmene mentre gli altri no, perché sono giovani e hanno una carriera davanti».
Quindi in magistratura si va avanti solo se sponsorizzati?
«Sì, hanno fatto tutti carriera con le correnti: se non si è iscritti a qualcuna non si va avanti, si è un cane sciolto. Sono loro ad avere tutto sotto controllo. Non è sempre stato così; è cambiato tutti negli anni di piombo. A quel punto me ne sono andato, restando da solo. E pagando di persona. La carriera che ho fatto ho dovuto conquistarmela. Nei posti in cui sono stato ho portato con onore la toga. L’indipendenza è il vero ruolo del magistrato: indipendenti dal potere esecutivo, ma anche dal Csm».
Ce l’ha con qualcuno in particolare?
«Con più d’uno e con qualcuno di più. Non faccio nomi, ma si conoscono. È che a me non piacciono i centri di potere, non mi piacciono le persone che agiscono sottobanco».
Quando ha maturato la sua decisione?
«Due giorni fa ho comunicato la mia decisione al Csm e non ho ricevuto risposte. È maturata all’improvviso, l’ho presa dopo aver letto le motivazioni in merito all’ammonimento che mi è stato fatto e che un giorno farò oggetto di pubblicazione. Si tratta di un grave errore giuridico, una porcheria pilotata. I giochi erano già fatti».
Ce l’avevano con lei?
«Sì, c’è stato grande accanimento nei miei confronti. Quando ho letto le motivazioni sono rimasto inorridito: è una decisione che ritengo assolutamente ridicola, una stupidaggine, l’espressione di uno Stato borbonico, farisaico e prevaricatore di cui dobbiamo vergognarci. L’espressione della formazione di centri di potere anomali. I cittadini se ne devono rendere conto, siamo arrivati a una situazione in cui qualcosa deve accadere. Comunque non me ne vado perché tutto va male, ma perché come cittadino libero potrò fare molto di più, non ingabbiato e ingessato da regole burocratiche che impediscono di gestire la realtà. Insomma ci sono altri mezzi per cambiare il correntismo e la spartizione correntista che fanno del sistema il grande ammalato ».
Si candida a sindaco di Treviso?
«No, non possiedo le doti per fare il sindaco: la pazienza, la capacità di mediazione, il buon senso. Sono troppo sanguigno. Credo che, in questo senso, anche l’ex procuratore Antonio Fojadelli abbia commesso un errore».
E quindi a quali altri mezzi sta pensando?
«Tutti gli altri, nessuno escluso. Mai avuto pensieri di fare politica, ma ora non si può escludere nulla».
Hanno cercato di dissuaderla dalla sua decisione? «Sì, molti colleghi hanno cercato di fermarmi, ma alla fine mi hanno dato ragione».
La Tribuna 21.6.2012