"La dieta migliore? Quella a pane e Ogm"
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Uno scrittore (e agronomo) scientificamente inappuntabile. Che,
da sinistra, smonta la sinistra (bio)illogica.Voce sicura della narrativa contemporanea e mente razionale della divulgazione scientifica, Antonio Pascale - scrittore e agronomo - è un romanziere di grande appeal e un intellettuale che scrive saggi antipatici (a qualcuno)
Come, quattro anni fa, Scienza e sentimento (Einaudi), in cui demoliva il luogo comune alla Pietro Citati secondo cui «i pomodori non hanno più il sapore di una volta»; o come il nuovo Pane e pace (Chiarelettere), il racconto, in cento pagine, di 10mila anni di evoluzione dell’agricoltura che fa a fette la vulgata della natura «buona» contro la scienza «cattiva», del “bio” uguale «bello» e della chimica uguale «brutta». Un libro politicamente scorrettissimo, scientificamente inappuntabile.
Sei uno scrittore e anche un ispettore agrario.
«Lavoro da 23 anni al Ministero delle politiche agricole e forestali. Stimo i danni prodotti dalle calamità naturali in agricoltura».
E studi il rapporto tra nuove tecnologie e agricoltura, smentendo false credenze e pregiudizi ideologici.
«Diciamo che molte persone quando parlano di cibo e di progresso sono vittime di un immaginario bucolico fuorviante, pensano a un mondo che sarebbe bello esistesse, ma non c’è...».
E sei anche di sinistra.
«Sì, voto a sinistra».
Però sei contro un’immagine idealizzata dell’agricoltura, “biologica” e antitecnologica tipica di molta sinistra.
«Sì. E infatti ho scritto questo libro anche per cercare di ragionare con quella parte di sinistra che rappresenta e diffonde queste immagine distorta».
Ti accusano di essere di destra?
«Sì. Di destra e al servizio delle multinazionali».
Tu difendi l’ibridazione, gli agro-farmaci, gli Ogm...
«Sì, perché ci siamo dimenticati che fino a 60-70 anni fa, la produzione era molto scarsa, quantitativamente e qualitativamente. E quando i contadini, come mio padre, coltivavano in modo - come si dice oggi - “biologico”, lo facevano non per una scelta etica ma per necessità, perché non avevano fitofarmaci, né diserbanti né fertilizzanti. Risultati? La resa della terra era bassissima e i prodotti non erano buoni. Mentre oggi, con le nuove tecnologie, le rese sono abbondanti e la qualità migliore».
Da vero progressista dici che non bisogna avere paura di «forzare la natura».
«Esatto. Anche se a certa sinistra ecologista la cosa non piace, bisogna smettere di rimpiangere i metodi antichi, e affidarsi, nelle giuste dosi, alla scienza. Con la “rivoluzione verde”, a partire dagli anni ’60, si è cominciato a usare i concimi di sintesi, gli agrofarmaci contro gli attacchi degli insetti, i diserbanti che hanno tolto le mondine dalla risaie, e infine le piante modificate: quattro elementi che hanno aumentato la produzione, aumentato il reddito e diminuito la quantità di terra necessaria per l’agricoltura. Altro che buon tempo antico...».
Perché riteniamo il “vecchio” più genuino?
«Perché abbiamo un’immagine distorta della natura. Entriamo in un supermercato biologico, vediamo le spighe mosse dal vento sulla confezione, e pensiamo che quel prodotto è sano, perché è naturale. Questo perché lo vediamo da lontano. Se facessimo uno zoom su quelle spighe e su quel campo, vedremmo che ci sono le piante infestanti, gli insetti, vedremmo la vita.. E noi dobbiamo per forza combattere insetti e malerbe, altrimenti i prodotti non vengono bene... Se non interveniamo sulla natura, la natura torna a essere quello che è: selvaggia».
Però ci piace idealizzare la natura e il passato...
«Sono gli effetti del peggiore inquinante che esiste, quello culturale. È il sapere nostalgico, quello che sostiene che tutto ciò che avveniva in passato ha valore, mentre ciò che viene prodotto nel presente è corrotto».
Chi produce questo inquinamento culturale?
«Moltissimi intellettuali, soprattutto di sinistra, quelli che pensano che il passato è “ideale” e quindi non ha senso muoversi in avanti.. Quelli che nel nome di un falso mondo bucolico, per ignoranza o malafede, fanno disinformazione culturale e scientifica. Sono gli anti-moderni. Opinion-maker pericolosissimi. I santoni della sinistra bio-illogica»
Nomi?
«Carlo Petrini di Slow Food, che nel suo decalogo pubblicato sull’Espresso per dire “No agli Ogm” sostiene che le piante mal sopportano le modifiche genetiche, che è come dire, per fare un corrispettivo letterario, che Dante ha scritto Lo cunto de li cunti.
O Mario Capanna, che diffonde in tv la leggenda metropolitana dell’Ogm detto “fragola-pesce”. O Dario Fo, che quando parla di teatro sa cosa dice, ma quando parla di genetica no. Gente per la quale L’origine della specie di Darwin non è mai stato scritto. Gente che pensa che la Madre Terra e la Natura siano sacre, incorrotte».
E intoccabili.
«Credono che l’intervento dell’uomo violenti la natura: invece l’intervento, se ben fatto, semmai migliora la natura. Quando sono nato, c’erano tre miliardi di persone sul pianeta. Ora sono quasi sette. E come si fa a sfamare così tante bocche? Intervenendo sulla natura, per far funzionare meglio l’agricoltura. E il mondo».
Più pane, più pace.
«Lo diceva Norman Borlaug, agronomo americano, premio Nobel per la Pace nel 1970, pensando al progresso scientifico che ha ridotto la fame nel mondo: “Chi produce pane produce pace”».
Si dovrebbero applaudire i genetisti, invece...
«Invece li si dipinge come dei Frankenstein. Creatori di mostri. È inutile. In Italia si fa troppa demagogia e poca ricerca».
Luigi Mascheroni – Il Giornale – 16.5.2012