Crisi Libica: quali prospettive? (3)
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Documento di base di un più articolato ed approfondito elaborato in corso di approntamento da parte della Fondazione I.C.S.A. (Intelligence Culture and Strategic Analisys), in cui verrà delineato il ruolo dell’Italia per ogni possibile tutela degli interessi nazionali in Libia. Domani nominativi e obiettivi
di Luciano Piacentini e Claudio Masci pubblicato in Analisi Mondo, AD
Secondo alcune fonti, infatti, le rivolte (vedi articolo precedente art.2 Primavere arabe) sarebbero state pianificate dal Dipartimento di Stato americano assieme ad alcuni dissidenti dei vari governi arabi, ben prima del loro scoppio allo scopo di democratizzare i regimi di quei paesi. A sostegno di tale ipotesi vengono posti:
- il discorso di Barack Obama tenuto a Il Cairo il 4 giugno del 2009 indicato dalla stampa col titolo ” Con l’Islam un nuovo inizio”, nel quale rivolgendosi al mondo arabo e islamico, auspicava sostanzialmente un grande piano di collaborazione e rinnovamento politico-democratico dei paesi mediorientali;
- la presenza, durante le sommosse e nei cortei pacifici di dissidenti locali, addestrati, armati e finanziati da organizzazioni legate al Dipartimento di Stato americano fra cui la Freedom House (organizzazione indipendente dedicata all’espansione della libertà in tutto il mondo) e il Fondo nazionale per la democrazia (noto come National Endowment for Democracy, NED, una fondazione privata – senza scopo di lucro - dedicata alla crescita e al rafforzamento delle istituzioni democratiche in tutto il mondo);;
- l’esistenza di una fondazione in Serbia, denominata Canvas, (Centre for Applied Non Violent Action and Strategies), legata al Dipartimento americano, che addestra giovani rivoluzionari all’uso dei metodi non violenti e che – ironia della sorte – ha la sua sede in Ulica Gandjieva, ovvero viale Gandhi, a Belgrado;
- le intese a Londra, sotto gli auspici britannici, fra Fratelli Mussulmani libici colà rifugiati e Sayf Gheddafi per convincere il padre – Muammar Gheddafi – ad instaurare buoni rapporti con la Fratellanza per un nuovo corso in Libia;
- l’annuncio fatto il 2 novembre del 2010, da Francia e Gran Bretagna riguardante lo svolgimento di giochi di guerra (war games) nel corso dell’operazione militare congiunta denominata “Southern Mistral 2011”, contro un nemico virtuale, a cui fu dato il nome di Southland, cioè “terra del sud”, verosimilmente la Libia. Lo scenario previsto nei war games – mai effettuati – è stato il medesimo di quello attuato da Francia e Gran Bretagna nel corso del loro intervento in Libia del marzo 2011.
“A pensar male si fa peccato, però ci si azzecca sempre”, per cui queste evidenze appaiono non più come strane coincidenze ma come progettualità per la realizzazione di due opposte strategie: la ricomposizione del disfatto Impero Ottomano – da una parte - secondo il progetto del grande califfato sognato da Osama bin Laden, ad opera dell’ala estremista dei Fratelli Mussulmani, unitamente alle confessioni ad essa collegate, dall’altra quella del Grande Medio Oriente già tentata dalla Nato (soprattutto USA e GB) nel 2004 e respinta sdegnosamente dai Paesi arabi-islamici e disapprovata dall’ONU.
In Libia, con gli eventi del 17 febbraio 2011 si è scatenata la rivolta della Cirenaica, avviata da un attentato suicida contro una caserma di Bengasi, seguito da un’insurrezione guidata da jihadisti, ben presto affiancata da una gran parte della popolazione, che non aveva dimenticato la repressione del 1993. In tal modo Gheddafi perse il controllo della Cirenaica, ma mantenne le alleanze tribali della Tripolitania e del Fezzan, che gli rimasero fedeli e con l’appoggio di queste ripartì alla conquista della provincia ribelle, così come era già avvenuto nel 1993.
Ma la Francia, in primis, seguita dall’Inghilterra e dagli USA e poi dall’alleanza occidentale, giustificarono il rispettivo intervento con la scusa della libertà e della democrazia. Ma, più probabilmente, con la recondita motivazione di ridimensionare una posizione economica di privilegio dell’Italia nella regione, decisero che il colonnello libico era ormai arrivato al capolinea.
Gli interessi nazionali in Libia, in quel periodo, erano:
• Eni, ex Ente Nazionale Idrocarburi, presente in Libia dal 1959 quando l’Agip ottenne dallo Stato libico la concessione ’82 nel deserto del Sahara Sud-orientale;
• numerose aziende italiane, fra cui: Bonatti, Garboli-Conis, Maltauro, Trevi e l’Anas che si era aggiudicata la gara per il servizio di advisor per la realizzazione dell’autostrada Ras Adjir-Emsaad, lunga 1750 chilometri (dal confine tunisino a quello egiziano) attraversando completamente tutto il territorio libico; Finmeccanica, società aerospaziale italiana, che aveva firmato nel 2009 un accordo di cooperazione in ambito aerospaziale, con la Libya African Investment Portfolio creando una joint-ventures 50-50.
Inoltre, Finmeccanica aveva siglato un contratto con la Libia per la costruzione di linee ferroviarie;
• grandi imprese di telecomunicazioni come la Sirti, che insieme alla francese Alcatel, era stata ingaggiata per la realizzazione di 7000 chilometri di cavi di fibre ottiche; la società̀ milanese, Prysmian Cables & Systems, che si era aggiudicata un contratto da 35 milioni di euro per la messa in posa di cavi a banda larga nella rete del GPTC (General Post and Telecommunication Company) libico;
• interessi finanziari della Unicredit che aveva fra i principali azionisti libici la Central Bank of Libya e la Libyan Investments Authority e partecipazioni azionarie della Libyan Arab Foreign Investments Company (Lafico) – banca statale libica – poi sostituita dalla Libyan Investments Company (LIC) nel gruppo automobilistico FIAT.
Dopo poco più di 42 lunghi anni di potere cadde un rais arabo che, bene o male, aveva mantenuto unite tre entità territoriali etnicamente, storicamente e politicamente diverse.
L’ odierna “rivoluzione” libica, quindi, non è né democratica né spontanea: la scintilla della rivolta è scoccata mediante l’invito alla sollevazione, per il giorno 17 febbraio, diffuso sulla rete, in concomitanza degli scontri del precedente giorno 16 fra polizia e manifestanti, scontenti per l’arresto di un attivista dei diritti umani – al quale hanno aderito un gran numero di giovani libici – ed in sincronia con le altre manifestazioni in corso nel mondo arabo.
La “rivoluzione” sembra quindi costituire la materializzazione sul terreno di queste opposte progettualità, alle quali occorre aggiungere anche una sorta di rivalsa della confraternita senussita – emarginata dalla rivoluzione di Gheddafi – finalizzata ad instaurare in Libia quell’islam radicale combattuto dal Rais. In sostanza: Cirenaica contro Tripolitania e strutture militari lealiste contro entrambe nel tentativo di ripristinare una parvenza di legalità, con completo abbandono del Fezzan a se stesso, divenuto ormai crocevia di associazioni criminali e jihadisti, nonché serbatoio utile per alimentare, con armi e droga, opposti estremismi.
La disgregazione delle forze militari del regime di Gheddafi ha favorito la formazione di milizie ribelli che hanno occupato città e porzioni di territorio, assurgendo – con il passare delle settimane – a gruppi di potere locali ed esercitando un controllo territoriale circoscritto. Non essendo state rapidamente disarmate ed inglobate in un esercito nazionale, hanno poi costituito entità̀ autonome di governo in territori strategici e nelle città occupate, come la capitale e l’aeroporto di Tripoli, svolgendo di fatto un ruolo di mantenimento dell’ordine ma al di fuori di un univoco e consolidato quadro giuridico.
Queste milizie, pur garantendo l’ordine e sostituendosi alle forze di polizia o all’esercito nella gestione dei loro territori, impediscono però al Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) di avere il legittimo monopolio dell’uso della forza e di svolgere efficacemente un’azione di governo.
Il disegno appare confermato dall’autoproclamazione, nel decorso mese di ottobre, di Derna a Stato Islamico della provincia orientale di Barqa (vecchia denominazione della Cirenaica prima del 1951), unitamente alle milizie alleate, nonché dal completo controllo di Tripoli e del suo aeroporto internazionale ad opera del gruppo estremista islamico “Fajir Libia” (Alba della Libia), diventato snodo di transito per i jihadisti. (Nomie situazioni in Libia, domani)