Gli occidentali non capiscono la Russia, e Limonov

ce lo ricorda. I russi hanno l’“anima”, dice Virginia Woolf, gli inglesi invece no. E’ qui la differenza incomprensibile ai più

di Alfonso Berardinelli | 12 Febbraio 2015 ore 13:24 Foglio

Un carro di carnevale a Magonza che ritrae l'orso russo col volto di Putin (foto LaPresse)

Abbiamo davanti agli occhi Vladimir Putin, uomo che non può piacere, che nasconde, ma non tanto, astuzia, volgarità, violenza: il corpo massiccio allenato per anni nelle palestre del Kgb, mentre il gelido, affilato musetto mostra un’arroganza guardinga e pronta a decisioni ambigue e inaspettate. Vediamo un uomo temibile e poco interessante, ma cosa vediamo della Russia? Ogni volta che si apre una nuova crisi o se ne aggrava una in corso, gli esperti avvertono: bisogna stare attenti, dietro Putin c’è la Russia e noi in occidente la Russia non la capiamo.

“Voi occidentali non state capendo nulla”. E’ questo il primo punto messo in chiaro in un’intervista da Eduard Limonov in carne e ossa, reso famoso dall’omonimo romanzo che Emmanuel Carrère gli ha dedicato. Limonov è un mosaico di caratteri russi, un esteta con spiccate tendenze delinquenziali. In effetti sembra inventato per illustrare la sempre allarmante complessità di un paese la cui vita sociale è stata distrutta dalla rivoluzione bolscevica, in cui poteva sembrare che il comunismo sarebbe stato cancellato dalla lingua, dalla memoria, dai pensieri di un intero popolo: e invece ecco che Limonov è riuscito a fondare (per chiarire subito come stanno le cose) un nuovo partito nazional-bolscevico.

La Russia era una grande potenza quando era comunista e quella potenza non si dimentica facilmente. Essere nazional-bolscevichi significa che “in qualche modo” la cosa non è del tutto finita, non muore: ogni volta rinasce il nazionalismo da grande potenza, che non va umiliato e offeso, altrimenti sono guai.

Insomma, siamo sempre lì, non abbiamo capito la Russia, diciassette milioni di chilometri quadrati tra Europa e Asia, il più esteso paese del mondo che arriva fino allo stretto di Bering davanti all’Alaska.

La Russia appartiene o no all’Europa? Sì e ma. Dai tempi di Pietro il Grande ha guardato all’Europa. E all’inizio di “Guerra e pace” per parecchie pagine l’aristocrazia non fa che parlare in francese, la lingua dell’Encyclopédie. Senza la letteratura russa non saremmo intellettuali moderni. Senza Dostoevskij e Aleksandr Blok, Tolstoj e Marina Cvetaeva, non sapremmo niente di quello che può bruciare in una vita e in una mente umana. Quasi nessuno riesce a negare che il romanzo, il genere centrale della letteratura moderna, ha dato in Russia i suoi capolavori insuperati.

Di questo parla Virginia Woolf in una serie di scritti ripubblicati ora in “L’anima russa”, un volumetto delle edizioni Elliot con introduzione di Benedetta Bini. In un articolo del 1917 la scrittrice inglese parla di Dostoevskij come del “grande genio che sta permeando le nostre vite” e afferma che di tutti i grandi scrittori “nessuno ci pare così sorprendente, così sconcertante”. Frasi come quelle che si leggono nell’“Eterno marito” (recensito dalla Woolf) non sarebbero concepibili in un romanzo inglese: “Sì, mi amava con odio, questo è l’amore più forte (…) cioè veniva per sgozzarmi ma pensava di venire ‘per abbracciarmi e piangere’ (…) Il mostro più mostruoso è il mostro con nobili sentimenti”. E un racconto come “La mite” è scritto “dall’inizio alla fine con una potenza che trasforma tutto ciò che possiamo mettergli accanto nel più scialbo dei luoghi comuni”.

Da dove viene un tale turbine? Con che cosa lo scrittore “costruisce la sua versione della vita”? Per tutto questo la parola giusta, secondo la Woolf, è “anima”. I russi hanno l’anima, mentre gli inglesi no. La mettono da parte, la nascondono: “Il nostro lento intelletto inglese” separa, non mescola, “è incline alla satira piuttosto che alla compassione, all’osservazione della società piuttosto che alla comprensione degli individui”. Dunque una delle culture più individualiste, come quella inglese, più pronta a riconoscere stravaganze e diritti individuali, secondo la Woolf è poco interessata a capire gli individui. La società inglese era imbrigliata da una fitta rete di tradizioni, abitudini, leggi infrangibili benché non scritte, gerarchie e distinzioni di classe, mentre Dostoevskij non ha sofferto di queste limitazioni: nei suoi romanzi “l’anima non è trattenuta da barriere. Tracima, dilaga”. E così un impiegato di banca, un postino, una domestica e qualche principessa possono incontrarsi e convivere nello stesso spazio: “Niente è escluso dalla provincia di Dostoevskij”.

Lo stesso avviene, in senso inverso, dall’esterno verso l’interno, in Tolstoj: “Nulla sembra sfuggirgli. Nulla gli scivola addosso senza essere notato (…) il blu o il rosso del vestito di un bambino, il modo in cui un cavallo muove la coda, il suono di un colpo di tosse, il gesto di un uomo che cerca di infilare le mani nelle tasche”.

Ritrovo questa esuberanza incondizionata di anima e di vita in un libretto di Sergej Esenin, “Nei pressi di Acquabianca” (Edizioni Via del Vento). Poeta contadino negli anni della rivoluzione, suicida trentenne nel 1925, ora Esenin ha un monumento a Mosca. La sua vita è stata una tempesta di amori, angosce, poesia, alcolismo, instabilità. Bellissimo, poeta di successo, pieno di amici, amò donne e uomini, ma gli uomini più a lungo, sposò la grande ballerina americana Isadora Duncan, che aveva diciassette anni più di lui. In America, al seguito di lei, nessuno lo conosceva e lui parlava solo il russo. Non riuscì a essere, come avrebbe voluto, poeta della rivoluzione e alla rivoluzione non riuscì a resistere. Majakovskij, che pure si suicidò cinque anni più tardi, in una poesia gli rimproverò amichevolmente di essersi suicidato.

Torno a Limonov, intervistato domenica scorsa sul corriere da Paolo Valentino. Dice che l’Ucraina non esiste, è un’invenzione, “è composta dai territori presi alla Russia e da quelli presi alla Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Ungheria”. Poi riconosce che la loro lingua è una bella varietà di russo e la loro cultura è di grande qualità.

Ma quando parla di politica Limonov non è solo un esibizionista, sa quello che dice, lo dice perché lo pensano i russi e Putin non può deluderli. Quindi “anche se contro voglia dovrà agire” e riprendersi i territori ucraini abitati da russi.

Non so se la Russia abbia ancora una grande anima, ma come dice Limonov non va dimenticato che è “la più grande nazione europea”, benché fuori dall’Unione europea.

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