Cari greci, adesso arrangiatevi
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L’Ue respinge tutte le proposte del nuovo governo e Draghi chiude i rubinetti. Per Tsipras, dopo la retorica, un drammatico tuffo nella realtà
di Redazione | 09 Febbraio 2015 ore 10:00 Foglio
Ancora due giorni e poi arriverà il G-Day, il giorno della Grecia. Mercoledì si incontreranno in via straordinaria i ministri delle Finanze dell’eurozona per ascoltare direttamente dal loro omologo greco le proposte del nuovo esecutivo, guidato dal premier Alexis Tsipras, per risolvere l’impasse sul debito. Ma negli ultimi giorni l’isolamento del nuovo governo greco è parso sempre più evidente. E il tour continentale del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis è terminato con un drammatico nulla di fatto [1].
Varoufakis, «questo straordinario personaggio che gira per le corti europee, questo cranio pelato che incontra i papaveri del mondo con la camicia colorata di fuori e va alle riunioni mondiali in motocicletta», in ogni discorso demolisce il sistema Europa, dice che la moneta unica è stata concepita male, chiede di dar retta al nuovo corso greco, che significa più o meno: ridiscutiamo tutto. Formidabile, e guardano a lui con interesse tutti gli euroscettici, sia a sinistra sia a destra [2].
«E però c’è un piccolo particolare: Varoufakis, e dietro di lui Tsipras e il partito Syriza, dicono quello che dicono essendo pesantemente parte in causa, devono restituire un mucchio di soldi che gli sono stati prestati e hanno dunque una buona ragione per argomentare come argomentano, perché al fondo di questo argomentare così filosofico, c’è una realtà tipica: stanno cercando di non pagare» (Dell’Arti) [2].
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Non è solo un problema di soldi (taglio del debito, taglio degli interessi), quanto un problema di assetto, cioè di politica economica generale. Nel 2010, per evitare il fallimento, la Grecia chiese aiuto all’Unione Europea. Questa accettò di prestargli dei soldi (240 miliardi) a patto che in Grecia si facessero certe cose: taglio della spesa pubblica, alle pensioni, licenziamenti, fine degli sprechi, eccetera. E fu deciso di dargli i denari a rate, affidando ai rappresentanti di Fmi, Ue e Bce (la Troika) il compito di controllare che venisse fatto quanto stabilito. Dell’Arti: «E però in questo modo il Pil s’è ridotto del 25% e se i conti della macroeconomia sono nettamente migliorati, quelli della microeconomia – cioè quelli che riguardano la vita di tutti i giorni delle famiglie – vanno ancora male. Syriza ha perciò vinto le elezioni facendo propaganda a una sola parola: “Basta!”» [2].
Secondo Varoufakis, «diciamolo chiaro», la Grecia è fallita nel 2010, dal quel momento non c’è stata nessuna ripresa dunque non c’è da ricavarne niente. Ma se invece gli si taglia il debito, gli si tagliano gli interessi e gli si prestano altri soldi, l’economia si riprenderà e a maggio si potrà elaborare un nuovo piano. Con nuovi bond il cui rendimento sia legato al Pil e con altri bond perpetui cioè senza scadenza, ovvero si pagano gli interessi sul prestito per sempre ma il capitale non si rimborsa mai (un sistema tipico delle rendite di fine Ottocento, con cui le monarchie dell’epoca finanziavano soprattutto le loro guerre) [2].
In pratica il nuovo governo greco chiede che l’attuale programma di aiuti giunga alla sua naturale scadenza (l’ultima tranche, da 7 miliardi, verrà erogata l’ultimo giorno di febbraio). Successivamente vuole negoziare un programma più leggero e, durante le trattative, vuole poter contare su un prestito-ponte europeo. Tsipras e Varoufakis speravano che, con la minaccia di mandare tutto all’aria, l’Europa avrebbe ceduto alle loro richieste. Invece un’infinita lista di politici e burocrati europei gli ha detto di no [3].
Prima di tutti c’è stata la doccia fredda della Bce che mercoledì scorso ha comunicato che dall’11 febbraio non accetterà più i titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti alle banche elleniche «perché non è più certa la chiusura del memorandum con i creditori». Togliendo così di fatto agli istituti greci l’accesso alle normali aste di liquidità. Livini: «Un cartellino giallo (quasi rosso) al governo greco. Obbligato ora a trovare in tempi stretti un’intesa con i suoi creditori in condizioni negoziali però molto peggiori. L’avviso è chiaro. Non si scherza con il fuoco. E se alla fine si alza troppo l’asticella Francoforte potrebbe chiudere del tutto i rubinetti» (per adesso alle principali banche greche resta la liquidità d’emergenza fornita dal programma Ela – emergency liquidity assistance). [4].
Dal fronte dei creditori lo slogan dunque è questo: niente nuovi soldi senza impegni. E nell’incertezza Standard&Poor’s è tornata a tagliare il rating del Paese, da B a B- con prospettive negative, e a parlare della possibilità dell’uscita dall’euro [1].
L’idea di un prestito-ponte ha invece incontrato il no secco del presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem: «Non facciamo prestiti-ponte». Stesso discorso da parte del Fondo Monetario sui nuovi bond. Idem Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco sull’allentamento del rigore: «Abbiamo la volontà di risolvere i problemi e di concordare qualcosa, ma della Troika non si può fare a meno». La difesa della Troika è così decisa che la Merkel s’è rifiutata di incontrare Tsipras. Cioè da quest’altra parte, per ora, la linea è durissima. E non hanno sollevato obiezioni neanche Hollande e Renzi [5].
Dunque da una parte il governo Tsipras non vuole proseguire con il programma Ue-Bce-Fmi. Dall’altra la Ue e la Bce insistono perché si trovi un accordo con la Troika, senza il quale non sono disponibili a fornire nuovi finanziamenti. «Io rispetterò il mandato che ho avuto degli elettori», ha detto il premier incontrando i parlamentari di Syriza. «Anch’io ho grande rispetto del libero voto espresso dai greci ma devo tener conto pure del voto degli altri Paesi dell’area euro», ha risposto a stretto giro di posta Schäuble. Quasi un dialogo tra sordi. La data limite per trovare un’intesa resta il 28 febbraio, quando arriva a scadenza il programma di assistenza finanziaria per la Grecia. Entro quella data occorre un temporaneo compromesso o la situazione greca potrebbe cominciare a deteriorarsi in modo irrimediabile [6].
A quanto ammonti il bisogno di sostegno finanziario della Grecia è difficile da dire. Le stime cambiano a seconda della giornata. Dipendono dalle previsioni sul gettito fiscale, ma anche dall’instabilità dei mercati finanziari, dai livelli dei depositi bancari, dalle scelte che si faranno sul futuro andamento dell’attivo primario di bilancio (il governo greco vorrebbe ridurre l’obiettivo imposto finora dai creditori). Si parla di 10-20 miliardi di euro su un periodo di 12 mesi [3].
Il vero rischio è che i greci riprendano a ritirare soldi dalle banche. Oggi in Svizzera avrebbero depositi per 60 miliardi di euro. Ma gran parte dei cittadini greci preleva i risparmi allo sportello bancario semplicemente per metterli sotto il materasso o in cassette di sicurezza. Longo: «Così per gli istituti creditizi elvetici l’emorragia si fa sempre più grave: solo a gennaio si stima siano scappati dai conti correnti ben 10-12 miliardi di euro. Questo significa che dai massimi toccati nel 2010 le banche hanno perso 88 miliardi di depositi in totale: erano 244 prima della crisi, sono arrivati a 168 miliardi a dicembre 2014 (ultimo dato ufficiale) e ora potrebbero essere diminuiti di altri 10-12 miliardi. Emorragia causata dalla paura di “Grexit” e forse anche solo di un prelievo forzoso: sta di fatto che rischia presto o tardi di lasciare le banche elleniche completamente dissanguate» [7].
Servirebbero nuovi aiuti europei alla Grecia perfino nel caso che Alexis Tsipras capitolasse e accettasse di seguire in pieno il programma imposto dalla Troika. Lepri: «Nel 2015 il peso del rimborso di debiti è tale da non poter essere sostenuto in alcun modo se il ricorso al mercato resterà, come è ora, proibitivamente costoso. Forse già il mese prossimo avranno le casse vuote. Il rifiuto di pagare, e la conseguente espulsione dall’euro, provocherebbero ancora più miseria: fallimento delle banche, altre chiusure di aziende, inflazione alle stelle, forse incapacità di importare viveri e benzina in quantità sufficienti» [8].
Inquadrato in questi dati, il teatrale braccio di ferro in corso tra il governo di Atene e le istituzioni europee sembra schivare il centro del problema. Da una parte, gli altri Paesi europei devono rendersi conto che nemmeno un programma di austerità severissimo come quello della Troika ha messo in grado la Grecia di far fronte ai suoi debiti. Dall’altra parte, Tsipras e i suoi devono capire di non aver quasi spazio di manovra [8].
L’onere di restituzione dei debiti non è alto in una prospettiva pluriennale. Presenta però due picchi elevatissimi, uno quest’anno, oltre 16 miliardi di euro (per un Paese con un prodotto lordo di circa 180), uno nel 2019, con 14 miliardi. Lepri: «Più che di ridurre l’onere del debito, occorre discutere su che fare subito. Il programma della Troika aveva senso solo se alla sua scadenza, ovvero adesso, il Tesoro greco fosse potuto tornare a finanziarsi sui mercati internazionali». Si potrà discettare a lungo se i mercati impongano tassi insostenibili perché c’è ora un governo che non vuole rispettare il programma, o perché il programma ha messo a terra l’economia del Paese. Sta di fatto che servono soldi [8].
Note: [1] Giovanni Stringa, Corriere della Sera 7/2; [2] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 6/2; [3] Beda Romano, Il Sole 24 Ore 7/2; [4] Ettore Livini, la Repubblica 4/2; [5] Francesca Basso, Corriere della Sera 6/2; [6] Andrea Tarquini, la Repubblica 6/2; [7] Morya Longo, Il Sole 24 Ore 7/2; [8] Stefano Lepri, La Stampa 7/2.
A cura di Francesco Billi