Come Mattarella è arrivato al Quirinale. La vera storia

Non è una libera interpretazione retroscenistica ma è il frutto di alcune conversazioni importanti avute in questi giorni con i protagonisti della partita quirinalizia

di Claudio Cerasa | 03 Febbraio 2015 ore 13:57 Il Foglio

Il vero punto, al netto di tutte le frasi in libertà, di tutte le teorie del complotto, di tutte le ricostruzioni raccontate seguendo più la chiave dell’accordo massonico che dell’accordo politico, è molto semplice e suona più o meno così: ma come diavolo è successo? Ovvero: in che modo si è materializzata la scorsa settimana la nascita e l’affermazione della candidatura di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica? E tra Berlusconi e Renzi cosa è successo davvero? Quello che vi offriamo non è una libera interpretazione retroscenistica ma è il frutto di alcune conversazioni importanti avute in questi giorni con i protagonisti della partita quirinalizia.

 Le cose, al dettaglio, sono andate così. Lunedì 26 gennaio Matteo Renzi comunica alla sua squadra di governo e di partito che il nome dal quale sarebbe partito per trovare un candidato unitario per il Quirinale era quello del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Era questo il candidato di Renzi: un tecnico politico che avrebbe potuto mettere d’accordo tutte le anime del Pd, di governo e della maggioranza delle riforme. Il giorno dopo, parlando con tutti i delegati dei gruppi parlamentari, Renzi capisce che quel nome non va bene e che ogni partito chiede una cosa molto semplice: non un tecnico, ma un politico. Punto. A quel punto i nomi in campo, come si sa, sono due e soltanto due: Sergio Mattarella e Giuliano Amato. Con un’opzione: in caso di caduta di queste candidature, si sarebbe attinto alla fascia dei “second best”, ovvero gli altri candidati contattati direttamente da Renzi nelle ore precedenti all’incontro con i partiti e ai quali il presidente del Consiglio chiese di farsi trovare pronti.

Il mercoledì, il giorno dopo la richiesta di un politico arrivata da tutti i partiti, compresa Forza Italia, Berlusconi e Renzi si incontrano e Berlusconi fa la sua proposta a Renzi. Dicendogli: caro Matteo, ho parlato già con Massimo D’Alema, ho parlato con alcuni esponenti della minoranza del tuo partito, abbiamo verificato che i numeri per far eleggere Giuliano Amato ci sono già dalla quarta votazione e adesso manca solo il tuo, di sì: ci stai? Renzi, pur non avendo un cattivo rapporto con Amato, ha sempre pensato che un presidente della Repubblica come Amato avrebbe avuto troppa difficoltà a essere “raccontato”, e avrebbe avuto “un ruolo e un profilo non adatto a segnare il passaggio alla terza repubblica”, e a quel punto rilancia. E come lo fa? Non – passaggio fondamentale – con un nome da utilizzare per sedurre i nemici di Forza Italia ma con un nome da utilizzare per sedurre gli amici di Forza Italia (nel 2011, per la cronaca, il Pdl di Berlusconi e Alfano votò allegramente Mattarella per la Corte Costituzionale). Sapendo perfettamente che con il nome di Mattarella, Renzi avrebbe avuto la possibilità di fare la stessa cosa che Berlusconi aveva provato a fare con il Pd: agganciare la minoranza per poi portare dentro il perimetro dei grandi elettori anche il resto del partito. La mossa ha un suo peso relativo dal punto di vista numerico perché Renzi sa che senza i voti del centrodestra il nome di Mattarella è a rischio e per questo il presidente del Consiglio – altro passaggio importante – decide di puntare su Mattarella solo quando riceve dal neo capo dello stato una garanzia precisa: che avrebbe resistito anche dopo la quarta votazione, e che sarebbe stato disponibile ad andare avanti anche in caso di prime raffiche di franchi tiratori.

Il centrodestra non ci sta e comincia il pasticcio. Il no di Ncd (che intanto prova a trattare con il Pd la partita del sindaco di Milano) diventa a poco a poco un sì. Il no di Forza Italia (che sarebbe potuto essere un nì da subito) diventa un nì. E a poco a poco i tasselli finiscono nelle posizioni che sappiamo. La nascita di Mattarella al Quirinale parte da qui. E se Alfano e Berlusconi avessero capito da subito che il modo migliore per giocare la partita era quella non di subirla ma di intestarsela oggi forse gli psicodrammi vissuti da Forza Italia ed Ncd sarebbero state, a loro modo, delle vittorie politiche.

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