Il Nazareno di non belligeranza

Mattarella verso il Quirinale. Forza Italia dice nì. Come nasce e dove porta il piano chapeau di Renzi

di Claudio Cerasa | 30 Gennaio 2015 ore 21:23 sul Foglio di domani

Tu chiamalo se vuoi il Nazareno di non belligeranza. La storia la sapete già: a meno di sorprese clamorose questa mattina Sergio Mattarella, con le sue cinquanta sfumature di grigio, sarà il nuovo presidente della Repubblica, verrà eletto da una platea di elettori più grande di quella calcolata due giorni fa sul pallottoliere di Palazzo Chigi, metterà insieme le forze di centrosinistra, il Pd, la minoranza del Pd, Sel, alcuni pezzi degli ex Cinque stelle, Ncd (Alfano ieri ha eroicamente ceduto, voterà sì), e una volta compreso che Mattarella avrebbe avuto i voti sufficienti per passare a prescindere da ogni possibile mossa di Forza Italia, Berlusconi ha saggiamente deciso, un po’ in ritardo, di non innescare la miccia che avrebbe potuto far detonare il patto del Nazareno, e ha scelto di adottare nei confronti del giudice della Corte costituzionale (Corte costituzionale dove Mattarella, nel 2011, arrivò anche con i voti dell’allora Pdl) lo stesso metodo adottato nel 2006 durante la votazione che portò per la prima volta al Quirinale Giorgio Napolitano: non uscendo dall’Aula, come suggeriva qualcuno, come chiedevano gli sfascisti azzurri, ma tappandosi il nasino e votando scheda bianca per aggrapparsi all’unica ragione di vita di questa legislatura: il patto con Renzi.

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Patto che oggettivamente, a meno di patatrac improvvisi, esce in forma non smagliante dall’elezione del presidente della Repubblica, ma per il presidente del Consiglio vale lo stesso ragionamento di ieri: no Nazareno, no party, no Renzi. La storia di questi giorni ci dice che la scappatella del premier c’è stata, che il tradimento si è annusato, che le corna sul Nazareno le si sono viste in controluce. Ci dice anche che il centrodestra avrebbe potuto preparare meglio la battaglia, avrebbe potuto forse fare a meno di dire prima Mattarella mai nella vita e poi invece Mattarella nì nella vita, ma in questo quadro caotico e insieme lineare va riconosciuto che quello di Renzi è davvero il delitto perfetto: cercava un candidato che più grigio non si poteva, un candidato di cui non si conoscesse la voce, un candidato con una narraziò decente, con una storia da raccontare, un profilo utile a rimettere insieme i cocci del suo partito e a far sorridere gli smacchiatori di giaguari, i nostalgici di Prodi, i campioni del rodotaismo estremo, un volto intorno al quale ridisegnare il perimetro di un centrosinistra allargato, che mettesse a nudo le contraddizioni degli alleati (vedi alla voce Angelino Alfano), e una figura con cui infine dimostrare che il Rottamatore non è ostaggio del patto del Nazareno ma che può utilizzarlo come meglio crede.

Tatticamente, se tutto andrà lascio, Renzi è stato abile anche nella preparazione alla candidatura Mattarella (e quel Cantone ricevuto giovedì a Palazzo Chigi era una bomba, e ha funzionato) ma una volta superata la partita quirinalizia bisogna capire cosa accadrà dopo, e il dopo suona come una sigla di sei lettere: Tina-tn: there is not alternative to Nazareno. Renzi lo sa ed è per questo che ha scelto, dopo aver ricompattato il suo partito, di trattare ancora con il gemello del gol, e quello che si andrà a manifestare è una versione aggiornata del patto: una sorta di Nazareno di non belligeranza. Si bisticcia ma si tratta, ci si schiaffeggia ma poi si torna a casa: Renzi ha messo in campo una prova di forza tosta ma sa bene che il patto con Berlusconi è l’unica alternativa che ha per evitare che il governo royal baby diventi sempre più un poco royal Letta bis. A meno che, sospetto oggi più che legittimo, Renzi non abbia una voglia matta di votare. Le cose vanno così, i Nazareni torneranno presto a limonare, ma oggi, a voler essere onesti, per Renzi c’è solo una parola: tradimento sì, però chapeau.

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