Non solo attentati, c’è un’intelligence “discreta”
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di al Baghdadi in Europa. Travestimenti, reclutamenti, soldi e cellule. La strategia internazionale dei jihadisti, prima e dopo gli attacchi
di Daniele Raineri | 20 Gennaio 2015 ore 06:13
Roma. Nel maggio del 2014 un giornalista del Times di Londra, Anthony Lloyd, arrivò a Tal Rifat, che è una piccola città siriana tra Aleppo e il confine turco. I ribelli del posto gli raccontarono che a gennaio avevano ucciso Haji Bakr, una delle figure più importanti dello Stato islamico negli ultimi anni (vero, era stato anche confermato dai loro nemici). Bakr era un iracheno che aveva lavorato nelle forze armate di Saddam Hussein con il grado di colonnello e che dopo l’invasione americana in Iraq era entrato nel gruppo (allora era chiamato: Stato islamico dell’Iraq, e lui si chiamava Samir al Khlifawi) e si era fatto strada fino a diventare il consigliere e il vice del capo Abu Bakr al Baghdadi. I ribelli dissero al giornalista che dopo averlo ucciso avevano catturato il figlio: un uomo sulla trentina e ben rasato “che faceva viaggi internazionali come inviato dello Stato islamico”. Nella casa a un estremo della città i ribelli siriani avevano trovato passaporti e quelli che definirono “travestimenti” (per esempio: lenti a contatto colorate).
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La scoperta dei viaggi all’estero del figlio del leader più importante del gruppo dopo Al Baghdadi aggiunse un elemento a un aspetto dello Stato islamico trascurato: non esistono soltanto agenti “indiscreti” del gruppo, pronti a compiere attentati spettacolari; esistono anche agenti discreti, che non intendono venire allo scoperto.C’è una rete di viaggiatori internazionali diversa da quella che ha fatto notizia in questi giorni, dopo le operazioni antiterrorismo in Belgio. Si tratta di una rete “non attiva”, nel senso che i suoi uomini non faranno parte delle cosiddette cellule dormienti in attesa di combattere. Hanno altri incarichi. Non è dato sapere perché viaggiano o vivono all’estero, anche se probabilmente una gran parte del loro lavoro riguarda il reclutamento di volontari e denaro.
A settembre il figlio di Haji Bakr è stato restituito allo Stato islamico in uno scambio di prigionieri con la Turchia.
Due giorni fa il New York Times ha pubblicato un reportage lungo scritto a Parigi sui fratelli Kouachi, responsabili della strage al giornale Charlie Hebdo. Spiega che la moglie di uno dei fratelli c’è rimasta malissimo quando ha scoperto dopo gli attentati che il marito, discreto e di basso profilo, conduceva una doppia vita. “In ogni matrimonio gli sposi hanno ciascuno un giardino tenuto segreto all’altro. Ma in questo caso non è un giardino segreto, è un pianeta segreto”.
La doppia vita
Chi ha fatto questa doppia vita, in Europa? Abu Ubaida al Maghrebi oggi è uno dei capi più importanti dello Stato islamico, ma è anche un cittadino del Benelux di origine marocchina che a 19 anni andò in Iraq per unirsi al gruppo di Abu Musab al Zarqawi e poi tornò indietro per laurearsi in Ingegneria. Secondo alcuni testimoni, oggi è uno dei pochi leader ad avere accesso diretto ad Abu Bakr al Baghdadi e quando la città di Aleppo era ancora in mano allo Stato islamico lui aveva l’incarico di dirigerne l’apparato di sicurezza. E’ stato anche il capo della base ricavata in quell’edificio dell’ospedale pediatrico usata nel 2013 come prigione per gli ostaggi occidentali – tra loro c’erano l’americano James Foley, poi ucciso davanti a una telecamera, e l’inglese John Cantlie, che ora gira video per il gruppo. La scorsa estate è circolata la notizia della morte di al Maghrebi, ma secondo alcune fonti oggi è a Raqqa. Tra il suo arruolamento in Iraq e il suo ritorno in Siria da leader, c’è un soggiorno discreto in Europa, ma è un intervallo di tempo di cui non si sa nulla. La sua identità è così protetta che non appare in alcun video, nemmeno a viso coperto. Ultimo particolare: i suoi prigionieri dicono che ha gli occhi chiari.
Un altro caso che riguarda questi agenti “discreti” è l’arresto nel giugno scorso di Lahcen Ikasrrien, un marocchino di 47 anni. Lahcen era stato catturato in Afghanistan nel 2001, ha passato tre anni a Guantanamo e poi è stato estradato in Spagna nel 2005. Negli anni seguenti, anche grazie a una campagna di Amnesty International, è stato scagionato dalle accuse per mancanza di prove dopo una campagna popolare di riabilitazione. Il suo avvocato, Javier Nart, montò un caso per ottenere il risarcimento dei danni dal governo americano. Ora la nuova accusa è che Lahcen fosse il capo di una squadra di otto reclutatori con base a Madrid che inviava volontari a combattere in Siria e in Iraq.