Qui Syriza, abbiamo un piano. Idee radicali sul debito,

meno austerity (ma un sorprendente “no” a nuovo deficit) e lotta alle oligarchie per rilanciare Atene. “Siamo diventati maturi”, dice il capoeconomista Milios

di Marco Valerio Lo Prete | 19 Gennaio 2015 ore 15:50 Foglio

Atene. Camicia rosa, jeans neri, giacca di panno marrone e maglietta della salute bianca bene in vista. Quando lo incontriamo, John Milios ovviamente è senza cravatta, e dev’essere un marchio di fabbrica visto che del leader di Syriza, Alexis Tsipras, si fatica inutilmente a cercare una foto in cui indossi quest’accessorio dell’abbigliamento maschile d’origine cavalleresca. Milios è il capoeconomista del partito di sinistra radicale che tutti i sondaggi danno per favorito alle elezioni greche di domenica prossima. “Non mi sono candidato, perché preferisco continuare a fare il professore, e soprattutto perché era necessario che qualcuno di noi utilizzasse tutte le sue energie per l’elaborazione teorica e la diffusione delle nostre proposte”, ci dice subito con tono gioviale il docente di Economia politica all’Ethnicon Metsovion Polytechnion, il Politecnico di Atene. Proprio in quest’ateneo Milios ha conosciuto per la prima volta il suo attuale leader di riferimento; allora il giovane Tsipras era uno studente che presto si sarebbe laureato in Ingegneria civile. Poi Milios ha continuato a insegnare, a scrivere, a impegnarsi in politica, sempre alla sinistra dei socialisti del Pasok, infatti cita lo European social forum e ricorda la Genova del 2001, dopodiché ha affiancato la coalizione di movimenti chiamata “Syriza” alla metà degli anni 2000. “Ho preso la tessera del partito soltanto nel 2008, quando Alexis è diventato capo della corrente più forte”. Presto l’allora trentratreenne Tsipras divenne presidente di Syriza, e da quel momento maestro e allievo non si sono più persi di vista.

 Lei è il capoeconomista del Partito – gli dico – ma la sensazione in questi ultimi giorni di campagna elettorale è che chiunque dei suoi colleghi si può alzare e dire la sua, spesso sfidando le stesse leggi dell’economia. Venerdì scorso la candidata Rachil Makri ha detto che la Banca centrale ellenica potrebbe stampare in proprio 100 miliardi di euro, sabato Yiannis Dragasakis ha detto che Atene potrebbe decidere unilateralmente di non pagare il dovuto alle al sistema europeo di Banche centrali che ha prestato soldi al paese. “Bisogna fare attenzione a non fare confusione con esternazioni del passato e inoltre a non cadere nelle trappole della propaganda conservatrice – dice Milios – Certo, siamo un partito plurale, con un dibattito al suo interno che non nascondiamo mai. Sul programma economico hanno lavorato oltre 200 persone, ma abbiamo una piattaforma elettorale ed è quella che fa fede”. Il riferimento è al “programma di Tessalonica”, presentato lo scorso autunno a Salonicco (seconda città del paese, in greco si chiama col suo antico nome di Tessalonica). Chiediamo allo studioso, che oltre al greco parla inglese e tedesco, di guidarci tra i tre capisaldi del programma: c’è la questione della rottamazione degli accordi con la Troika che spaventa Bruxelles e non solo, c’è la politica fiscale da rivoluzionare, ci sono le oligarchie economiche da aggredire.

Cominciamo dall’Europa, fronte su cui si concentra la maggiore attenzione degli osservatori internazionali. Ieri il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha detto che “qualsiasi sia il futuro governo eletto in Grecia dovrà rispettare gli impegni già presi e non deragliare dal corso delle riforme e dalle sue responsabilità di bilancio”. E’ vero – come dicono alcuni analisti – che la Syriza del 2015 è un altro partito rispetto alla Syriza che concorse alle elezioni del 2012 e che allora spinse conservatori e socialisti alla grande coalizione in nome del mantenimento della moneta unica? Syriza è già diventata più pragmatica e si accontenterà di qualcosa in meno di una cancellazione della maggior parte del debito pubblico ellenico? Milios prima si volta di lato per qualche secondo, come a prendere fiato, poi avvia un lungo ragionamento. All’inizio prevale il Milios-professore: “Fin dal 2000, da soli, criticavamo l’eccessivo indebitamento pubblico e privato in corso in Grecia. Ci rispondevano che i nostri operatori privati erano i meno indebitati d’Europa e che avevamo una mentalità arretrata rispetto a quella che era l’evoluzione dell’economia. Economisti come l’italiano Francesco Giavazzi sostenevano che il flusso di capitali del nord Europa che stava finanziando il nostro boom e in nostro processo di ‘catching-up’ era salutare. Ora d’un tratto è diventato importante, in negativo, soltanto il nostro deficit commerciale. Non capisco”.

Poi torna a parlare il Milios-politico: “Il debito pubblico greco ha superato il 170 per cento del pil. Con il 25 per cento del pil perso dal 2010 a oggi e un tasso di disoccupazione superiore al 25 per cento, tale debito è evidentemente insostenibile. Che possa essere ripianato a forza di avanzi primari è un’idea ridicola. L’unica razionalità di questo schema è quella di funzionare come una ‘trappola dell’austerità’, cioè un modo, per alcune élite, di promuovere un’agenda neoliberista in modo da accrescere la disuguaglianza nel paese e importare il modello dei lavoratori asiatici a basso costo”. L’alternativa allo status quo può prendere il via da una grande conferenza europea sul debito, una riedizione di quella che a Londra nel 1953 alleggerì il fardello del debito pubblico tedesco post Seconda guerra mondiale. Difficile convincere però la cancelliera tedesca, Angela Merkel: “Questa proposta di ristrutturazione concordata del debito pubblico ha un forte appeal etico – dice Milios – Alla metà dello scorso secolo la Grecia era tra quei paesi che concessero una rinegoziazione del debito tedesco. Senza quella decisione della comunità internazionale, non ci sarebbe stato nessun miracolo economico in quella che oggi è la prima potenza economica del continente. Ora a beneficiare di un simile approccio non sarebbe soltanto la Grecia, ma anche paesi come Italia e Spagna”. Paesi che però si sono scontrati contro un muro di gomma per aver chiesto molto meno a Bruxelles, si pensi alla battaglia sul tetto al deficit del 3 per cento o al pareggio di bilancio strutturale da raggiungere quanto prima.

 

“Syriza ha elaborato anche altre soluzioni che, con tecnicalità diverse, raggiungono comunque a obiettivi simili”, aggiunge subito Milios senza impuntarsi. Una soluzione l’economista precisa di presentarla a titolo personale, ne ha scritto in un paper con alcuni colleghi pubblicato negli Stati Uniti dal Levy Economics Institute: la Banca centrale europea acquista da tutti i paesi dell’Eurozona il debito pubblico che supera la soglia del 50 per cento del pil e lo scambia con bond a lungo termine zero-coupon, quindi a interesse zero; i paesi mantengono il debito ma non pagano gli interessi cui invece fa fronte la Bce (pure rifornendosi per esempio con i profitti del signoraggio); dopo un tot di anni, diciamo 50, quando il rapporto debito/pil sarà sceso sotto il 20 per cento, gli stati si impegnano a riacquistare il debito dalla Bce. “In questo modo non ci sarebbero perdite per i contribuenti né i tanto odiati trasferimenti da un paese all’altro. Per la Bce il costo sarebbe comunque inferiore al trilione di euro, meno di quello sostenuto da altre Banche centrali come quella americana o quella inglese”. Idea quantomeno originale. Se invece la comunità internazionale accettasse al massimo di allungare ancora la scadenza per restituire i prestiti attuali e riducesse di nuovo gli interessi richiesti ad Atene? “Noi non siamo dogmatici – apre a sorpresa Milios – Tutto quello che può servire a disinnescare il debito come ‘trappola di austerità’ è un obiettivo legittimo. Penso che nemmeno i nostri interlocutori saranno troppo dogmatici. Chi può volere oggi una Lehman Brothers all’ennesima potenza? Siamo forse in guerra tra noi europei?”.

Insisto: alla luce di quanto detto finora, e alla luce del fatto che l’uscita dall’euro finora non è mai stata nemmeno nominata, si può dire che la Syriza del 2015 sia un altro partito rispetto alla Syriza del 2012? “Allora eravamo un piccolo movimento all’opposizione di tutto e tutti. Ma dal 2011 è nato un movimento popolare che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone qui fuori – dice Mylos indicando Piazza Syntagma, fuori dalla sala da thè dello storico e lussuoso hotel Grande Bretagne – Oggi ci candidiamo a governare per cambiare il paese. Se dicendo che non siamo gli stessi del 2012 intende dire che siamo diventati ‘moderati’, rispondo che non è vero. Se invece mi chiede se nel frattempo siamo diventati più ‘maturi’, la risposta ovviamente è ‘sì’”.

Un test di questa nuova maturità lo imporranno i conti pubblici. Al punto numero uno del Programma di Tessalonica, Syriza propone per esempio di spendere 1,8 miliardi per fronteggiare “la crisi umanitaria”: elettricità gratis per 300 mila persone sotto la soglia di povertà, restituzione della tredicesima per le pensioni inferiori ai 700 euro, cure sanitarie e farmacologiche gratis per i disoccupati senza copertura, garanzie di stato per 30 mila appartamenti e passi indietro sui recenti inasprimenti dei balzelli su riscaldamento e benzina. Poi abolizione per le classi medio-basse della tassa unica sulla proprietà recentemente introdotta, con due miliardi di euro di gettito in meno. Poi un piano per 300 mila assunzioni nel pubblico e nel privato. Tutto questo con Tsipras che nelle sue apparizioni pubbliche ripete di voler mantenere il pareggio di bilancio, cioè l’uguaglianza tra entrate e uscite dello stato, al netto della spesa per interessi. “Noi infatti contestiamo e riteniamo irragionevole dover arrivare ad avanzi primari del 5 per cento o giù di lì, come previsto dal memorandum stilato dalla Troika, per ripagare il debito pregresso. Tuttavia non intendiamo tornare ad accumulare nuovo debito”. Sinistra radicale per il pareggio di bilancio, dunque? “Il pareggio di bilancio in sé non è una regola aurea per tutte le stagioni. Un paese può registrare un deficit se il pil nominale è maggiore del tasso d’interesse medio sul debito. La Grecia certamente non può creare più debito, altrimenti perderebbe l’accesso ai mercati finanziari anche in caso di conclusione del memorandum con la Troika. Nelle condizioni date dal capitalismo globale, non possiamo diventare un paese isolato”, concede dunque Milios che comunque nel 2015 continua a definirsi “marxista”.

E’ proprio nella ricerca delle risorse per i suoi programmi di spesa, dunque, che Syriza promette uno choc apprezzato dagli elettori greci che avevano invece dimostrato scarso interesse – meglio, avversità – all’idea di uscire dall’euro come panacea di tutti i mali.  “Aggrediremo le oligarchie”. Esempio: “Dal 1990 le televisioni private del paese, in mano a grandi conglomerati privati che fanno affari con lo stato, non pagano un euro per le frequenze che usano. Metteremo fine a tutto ciò con delle aste vere e proprie. Poi daremo una stretta all’evasione fiscale. Il governo uscente del conservatore Antonis Samaras ha una lista di 55mila persone che in questi anni hanno portato fuori dal paese più di 100mila euro. Le autorità hanno rilevato che 24mila di loro non dichiaravano reddito o attività tali da poter giustificare il possesso di quelle somme, poi però hanno sanzionato soltanto 407 di questi casi. Perché allo stesso tempo l’esecutivo ha depotenziato le autorità competenti”. Infine Milios ha la certezza che la mancanza di volontà politica spieghi anche la mano troppo leggera dello stato con il contrabbando di sigarette e petrolio: “Ci sono gli strumenti tecnologici per ridurli di molto”. Le entrate dello stato aumenteranno anche in altro modo: “La pressione fiscale nominale della Grecia è ai livelli del resto d’Europa. Quella effettiva no, è più bassa. Disboscheremo tutta quella serie di eccezioni del regime fiscale che favoriscono le grandi imprese”. A proposito di imprenditori, chiedo se Syriza non si ponga il problema di una base produttiva storicamente debole o assente, in Grecia – dove oltre l’80 per cento del pil è generato oggi dai servizi – oltre che recentemente sfiancata dalla crisi. La risposta in questo caso gira attorno alla classica “politica industriale”, da mettere in campo attraverso “incentivi per i settori in cui abbiamo un vantaggio relativo: per i servizi, appunto ma anche per l’agricoltura che innova, l’hi-tech e le start-up. La crescita della base produttiva è però un processo largamente endogeno, non si può decidere a tavolino quale settore far nascere dal nulla”, dice Milios in una delle sue rare concessioni a quella che lui chiamerebbe forse “ortodossia neoliberista”. Non una parola sulla Pubblica amministrazione greca e sulla sua non esattamente proverbiale efficienza? “Noi abbiamo già detto che ridurremo i ministri da 18 a 10, e partendo dall’alto avvieremo una grande riorganizzazione di un sistema troppo clientelistico. Lo faremo alleandoci con la parte sana dei dipendenti pubblici”.

Il professore del Politecnico da giovanissimo ha studiato al Collegio di Atene, scuola americana che forma buona parte dell’élite greca, ha ottenuto laurea in ingegneria e dottorato in Germania, recentemente poi ha avuto a che fare con la City, dove è andato a presentare il programma di Syriza agli operatori finanziari. All’estero, una delle domande ricorrenti che gli pongono i compilatori di report per banche d’affari e fondi, personaggi sempre in cerca della battuta ad effetto che mostri allo stesso tempo arguzia raffinata e conoscenze a 360 gradi su tutto lo scibile umano, è la seguente: Tsipras sarà un novello Hugo Chávez, caudillo populista che ha portato il Venezuela quasi all’orlo del default, oppure un novello Lula, ex presidente brasiliano partito radicale e finito riformista? “Gli investitori internazionali a lungo termine, non quelli presenti in Grecia soltanto per approfittare delle privatizzazioni a prezzi stracciati, ci chiedono di imitare Lula. Io mi limito a dire che, per vederci alla prova di governo, basterà aspettare il giorno dopo le elezioni”, conclude ottimista e sorridente.

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