La “norma dell’inciucio” fa sperare le imprese e non spiace
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agli avvocati- Renzi retrocede sulla depenalizzazione dell’evasione. Per gli esperti l’idea non è male. Occasione di un fisco saggio
di Alberto Brambilla | 06 Gennaio 2015 ore 06:30
Roma. Il governo ha deciso di riesaminare in toto i decreti delegati in materia di fisco dopo le polemiche nate dalla norma inserita dall’esecutivo – pare senza l’imprimatur dei tecnici del ministero dell’Economia – che esclude la punibilità penale per chi evade le tasse per un ammontare inferiore al tre per cento del reddito imponibile dichiarato oppure dell’Iva. Una norma (19 bis) contestata da più parti perché, essendo retroattiva e riferendosi ad ampio spettro a tutti i reati tributari, avrebbe restituito anzitempo l’agibilità politica a Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale nel processo Mediaset. Lo sparring tra governo e tecnici del ministero di Via XX settembre e le critiche pubbliche hanno motivato la retromarcia del premier Matteo Renzi, che s’intesta la paternità dell’iniziativa. “Rimandiamo tutto a dopo le votazioni per il Quirinale e la fine dei servizi sociali di Berlusconi”, ha detto ieri Renzi. Per scansare dubbi circa scambi sotterranei col Cav., in mattinata il premier ha fermato la trasmissione del testo dei decreti approvato nel Consiglio dei ministri della vigilia di Natale. L’iter ricomincia dunque da Palazzo Chigi, alle commissioni competenti, poi l’approvazione del Parlamento è rimandata a marzo. Per quanto sia grottesco immaginare la produzione di una norma che in modo così maldestro dovrebbe fare un favore a Berlusconi, l’intenzione va nella direzione scelta del governo che intende ristabilire la pace tra gli operatori economici e uno stato avido di tasse considerato punitivo oltre a liberare gli ingorghi nei tribunali. Al di là degli evidenti aspetti di polemica politica, gli apprezzamenti per la norma non sono mancati.
Francesco Giuliani, avvocato responsabile del contenzioso tributario per lo studio legale Fantozzi di Roma, vede due buone ragioni per non cambiare idea. “Una soglia così bassa, molto bassa, è evidentemente tesa a evitare una sanzione penale per evasioni di modesta entità relativamente alle dimensioni dell’impresa che dunque potrebbero essere frutto di errori contabili. In seconda analisi, avrebbe la funzione di deflazionare i contenziosi nei tribunali”. Tuttavia – rileva il fiscalista – ci sono delle criticità da chiarire perché “la norma sembra inserita frettolosamente, poteva essere pensata meglio per renderla efficace per le imprese”. Si riferisce alla possibilità di incentivare le grandi società a evadere? “No, non c’è differenza tra piccoli o grandi. Il legislatore fa una valutazione percentuale che si applica a tutti in base al reddito e all’Iva dichiarati, è un principio di equità. Obiettivamente se parliamo di una grande impresa con un fatturato significativo parliamo di cifre più alte, ma paga anche più tasse”. I problemi nascono quando la norma intende escludere la punibilità per tutti i reati tributari – dunque frode, evasione – senza distinzione. Come dice l’ex ministro dell’Economia, Vincenzo Visco, forte critico della revisione in extremis voluta da Palazzo Chigi, si intende “depenalizzare di tutto”? “Sicuramente non fare alcuna distinzione tra reati, non è coerente con l’approccio seguito dal governo nello schema della stessa delega fiscale”. La ratio del decreto legislativo sulla certezza del diritto è infatti quella di usare il pugno duro verso il contribuente che opera in modo fraudolento e incedere e allentare la presa sugli illeciti legati alla crisi. Molti imprenditori infatti per pagare gli stipendi arrivano a non versare totalmente l’Iva.
La querelle nasce tra le fila di Scelta civica, a scatenarla è stato Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia, tenuto all’oscuro della modifica. C’è però chi osserva l’innovazione con lo sguardo da imprenditore nel partito fondato da Mario Monti. Gianfranco Librandi, della Tci di Saronno, fa elettronica per illuminazione, trova “sacrosanto” che un’evasione fiscale relativamente bassa sia punita con una sanzione amministrativa e non penale (3 mila euro per un’impresa con imponibile di 100 mila) ciò serve a “restaurare fiducia nello stato”, dice al Foglio, “come ci chiedono anche dall’estero”. “Abbiamo bisogno di quel decreto in tempi rapidi, modifichiamolo ma non rimandiamolo”, dice. In Confindustria, intanto, si esamina il testo ma senza finora fare commenti.