Saxophone cardinal. Poliglotta, musicista, ciarliero
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e callejero. Maradiaga, un vicePapa nella “rivoluzione” di Francesco
di Matteo Matzuzzi | 02 Gennaio 2015 ore 12:20 Foglio
Roma. Lui, a differenza del Papa, la poltrona bianca in mezzo all’aula Nervi piena di gente in attesa del concerto per l’Anno della fede di certo non l’avrebbe lasciata vuota. Il cardinale honduregno Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga è un appassionato di musica, pop e classica. Se ne intende, è stato maestro di musica sacra e canto gregoriano, ha messo in piedi dal nulla bande e orchestre più o meno professionali, è capace di suonare ben sette strumenti: sassofono, pianoforte, fisarmonica, organo, batteria, contrabbasso, clarinetto. E ne va fiero. In rete circolano le foto di lui con il sax imbracciato vicino a Bono degli U2, suo compagno di lotta per l’azzeramento del debito dei paesi del Terzo mondo. Ama gli aerei, li sa pilotare anche se non ha mai preso il brevetto. Viaggiatore incallito, da presidente della Caritas Internationalis ha fatto più volte il giro del mondo, tant’è che nella sua diocesi, la piccola e povera Tegucigalpa – dove i cattolici sono al limite dell’estinzione, sopraffatti dall’avanzata impetuosa degli evangelici – lo vedono assai poco. Ma è con il cambio di pontificato, nel marzo del 2013, che la sua stella è diventata luminosissima.
Con Bergoglio l’amicizia è antica, e Francesco si fida del porporato indio al punto da averlo nominato coordinatore del consiglio della corona incaricato di stendere la riforma della curia romana. Un ruolo, questo, che a Maradiaga – che già nel 2005 diceva di volere un Papa proveniente dal “continente dell’energia e della speranza”, cioè dal suo – calza a pennello. Poliglotta, per mesi ha snocciolato a giornali e riviste, televisioni e radio, i particolari della rivoluzione di Francesco, tra dicasteri da tagliare o accorpare, snellire o irrobustire. Da quel pulpito, poi, ha anche preso la parola – sempre a mezzo stampa – per rimbrottare colleghi poco propensi, in relazione al doppio Sinodo sulla famiglia, a fare della dottrina cattolica un reperto da museo e a dare troppo ascolto ai desiderata dei fedeli mitteleuropei spediti in Vaticano tramite questionari: “Lo capisco, è un tedesco, un professore di teologia tedesco”, diceva del cardinale Gerhard Ludwig Müller, il capo del Sant’Uffizio: “Nella sua testa c’è solo il vero e il falso. Però io dico, fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no”. Già studente di Teologia morale a Roma e di Psicologia clinica a Innsbruck, il settantaduenne salesiano nel 2015 è pronto a rivoltare i palazzi vaticani da cima a fondo: vuole una coppia di sposi (eterosessuali) alla guida del nuovo dicastero che s’occuperà di laici e famiglia, magari anche con una suora a fare da sottosegretario; chiede che il Papa assegni meno berrette rosse ai curiali e più ai preti di trincea e di strada, meglio ancora se non della vecchia Europa. Si dice che abbia una gran voglia di prendere in mano la nuova congregazione per la Giustizia e la carità che dovrebbe vedere la luce a breve. Di sicuro, un posto più opportuno rispetto a quello cui fu destinato diciott’anni fa, quando a sua insaputa fu nominato capo della polizia dell’Honduras. “Ma siete matti? Trovatene un altro”, disse non appena gli giunse l’atto di nomina.