Conti pubblici: cosa ci aspetta nel 2015. E dopo
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Dopo l’approvazione definitiva, ricapitoliamo come la Legge di stabilità influirà sui conti pubblici.
Non rappresenta una sfida al rigore di Bruxelles, ma un modesto e temporaneo sforamento degli obiettivi di deficit. La spending review non ha tagliato la spesa in misura sufficiente.
30.12.14 La Voce Info Francesco Daveri
CONTI PUBBLICI PRIMA e dopo
Con la sua approvazione definitiva si può ora ricapitolare come la Legge di stabilità 2015 influirà sui conti pubblici dell’Italia. Per fare una valutazione precisa, bisogna però stabilire quale sarebbe stato l’andamento naturale dei conti pubblici senza le correzioni messe in atto dal Governo con le misure introdotte.
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LA SPESA PUBBLICA ACCELERA
I dati della Ragioneria (figura 1) dicono che “prima”, cioè senza gli interventi della Legge di stabilità 2015, la spesa pubblica – pari a 835 miliardi, cioè al 51,4 per cento del Pil, nel 2014 – sarebbe scesa marginalmente (a 833 miliardi) nel 2015. Il calo sarebbe però temporaneo perché la spesa dovrebbe poi riprendere a crescere fino al livello di 854 miliardi nel 2017, dunque con un aumento di 19 miliardi in tre anni. A guidare la crescita della spesa pubblica tendenziale era e rimane la spesa pensionistica che, malgrado le riforme degli ultimi anni, è prevista in aumento lineare dai 259 miliardi del 2014 fino ai 275 miliardi del 2017.
Nel complesso, i dati sull’evoluzione della spesa pubblica dicono che i risultati della limitata spending review avvenuta fino a questo momento faranno risparmiare sulle spese che lo Stato destina all’offerta di servizi pubblici, ma non su quelle voci di spesa sociale la cui entità complessiva non è stata per ora scalfita. Che le spese sociali aumentino in periodi di crisi non è strano ed è anzi giusto entro una certa misura. Ma tutte le spese, anche quelle sociali, devono essere prima o poi finanziate. Il loro aumento, se non controbilanciato dal calo di altre voci di spesa, rappresenta un ostacolo alla riduzione delle imposte spesso indicata come la via maestra per far recuperare competitività alle imprese e potere d’acquisto alle famiglie.
LA SPESA AGGIUNTIVA È FINANZIATA IN DEFICIT
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Prima della Legge di stabilità, infatti, il deficit pubblico 2015 era dato in calo al 2,2 per cento del Pil (da 49 a 37 miliardi di euro), in conseguenza delle tendenze “naturali” della spesa e delle decisioni assunte dai Governi fino a oggi. Dopo la Legge di stabilità, dicono i dati della Ragioneria, il deficit invece “salirà” a 42,6 miliardi di euro, cioè al 2,6 per cento del Pil. Per il 2015, il Governo ha cioè scelto di mantenere inalterate le entrate totali rispetto al quadro tendenziale, con l’implicazione che la maggiore spesa di 5,8 miliardi di euro sarà coperta con maggiore deficit.
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Con un Pil che cresce rapidamente, sale anche la base imponibile delle imposte e quindi si genera un andamento automaticamente positivo per le entrate fiscali. La previsione del governo è in linea con quella che il Fondo Monetario riserva all’Italia nel suo più recente World Economic Outlook. La crescita del Pil per il 2016 e il 2017 appare tuttavia ottimistica se guardata con gli occhi di chi vede un’inflazione zero e un aumento del Pil in termini reali anch’esso a zero nei dati oggi disponibili.
Nel complesso, indipendentemente dai criteri di classificazione, i dati della Ragioneria suggeriscono che la Legge di stabilità 2015 non rappresenta una sfida al rigore di Bruxelles, ma un modesto e temporaneo sforamento degli obiettivi di deficit fissati in precedenza. La legge non porta a una netta riduzione di imposte, ma solo a una riallocazione del carico fiscale tra lavoro e risparmio (e imposte indirette che potrebbero aumentare a seguito delle clausole di salvaguardia del 2016 e 2017). La mancata riduzione delle imposte ha una sola causa: l’assenza di un taglio più incisivo della spesa pubblica, senza il quale le imposte sono destinate a rimanere dove sono anche negli anni a venire.