Madia: “Le regole valgono solo per i dipendenti privati”
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Il ministro: nessuna norma sparita. Sì a modifiche su indicazione parlamentare
28/12/2014 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA, La Stampa
«Il Jobs act non si applica ai dipendenti pubblici. E’ sempre stato pensato solo per il lavoro privato». Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, interrompe i pochi giorni di ferie per chiarire che no, la legge delega sul lavoro non si applicherà agli statali, «il governo non ha mai avuto dubbi su questo». E per raccontare cosa la aspetta al rientro.
Ministro, eppure il senatore di maggioranza Ichino spiega che, così come sono, i decreti del Jobs act si applicano anche ai lavoratori pubblici.
«Secondo noi, e secondo i tecnici del governo, la norma, tutta impostata sul lavoro privato, è scritta invece in modo per cui è pacifico che le nuove regole non si applichino ai dipendenti pubblici. Quello che mi lascia perplessa è che Ichino possa pensare che un tema come questo lo affrontiamo con un comma che entra o esce in una notte».
Ichino ha parlato di un comma che escludeva espressamente gli statali, sparito all’ultimo minuto.
«Che il comma c’era lo dice lui. Noi non siamo un governo che improvvisa: se vogliamo affrontare questo tema, lo facciamo in una discussione approfondita in Parlamento nella riforma della Pa, non cerchiamo di imporlo con la furbizia di un comma notturno in una delega sul lavoro privato».
Scusi, ma questo comma c’era? E’ stato forse al centro di discussioni nella maggioranza, visto che c’è chi vorrebbe estendere la riforma agli statali e chi no?
«Nel governo, e quindi nella maggioranza, abbiamo sempre condiviso l’idea che il Jobs act riguarda solo i lavoratori privati. Poi c’è chi, come Scelta civica o Sacconi, vorrebbe più flessibilità anche nel pubblico. Ma eviterei di strumentalizzare la legge delega sul lavoro privato per portare avanti questa posizione».
Non sarebbe meglio comunque chiarire nero su bianco nella norma che gli statali sono esclusi?
«Ripeto, secondo i nostri tecnici non c’è alcuna ambiguità. Dopodiché, se tecnicamente dovessimo appurare che è meglio specificare, potremmo anche farlo. Ma non ne farei un dibattito da codicillo: il punto è che la volontà politica del governo è quella di non includere nelle nuove regole i lavoratori pubblici».
I decreti passeranno dalle Commissioni parlamentari per un parere non vincolante: saranno possibili modifiche?
«Perché no? I temi più vengono approfonditi, meglio è. Quello che però questo governo ha chiaro è che nessuno può mettere veti».
Modifiche sono possibili anche sui licenziamenti collettivi, criticati da sindacati e minoranza Pd?
«La sintesi a cui sono arrivati Renzi e il ministro Poletti mi sembra fatta con equilibrio, per non creare disparità. Vedremo i pareri, se saranno convincenti non sono escluse modifiche».
Chi promette battaglia è la Cgil…
«La Cgil ha fatto del Jobs act una bandiera di opposizione, è legittimo. Ma con il contratto a tutele crescenti e le misure della legge di stabilità sarà più facile avere un lavoro con garanzie degne: chi oggi si sta opponendo, sono le stesse persone che in questi vent’anni, ponendo continui veti, hanno permesso che generazioni di giovani perdessero il lavoro senza un giorno di preavviso né un euro di indennità».
A lei si rivolgono preoccupati anche i precari delle province…
«I contratti precari delle province sono prorogati di un anno».
E dopo?
«Vedremo, anche rispetto alle funzioni che svolgono: per esempio, chi lavora nei centri per l’impiego, proprio ora che stiamo rilanciando le politiche attive per il lavoro, penso sarà ragionevole confermarlo anche oltre. Quello che posso già garantire è che nessuno degli assunti delle province perderà il posto: saranno ricollocati in comuni, regioni e Stato. Abbiamo bloccato le assunzioni in tutti i livelli di governo proprio per offrire loro una corsia preferenziale».
Con il rientro arriverà in porto anche la sua riforma della Pa?
«E’ in Commissione affari costituzionali del Senato, conto che venga approvata entro la primavera. Nel frattempo abbiamo chiuso la parte normativa dell’anagrafe unica e dell’identità digitale, le infrastrutture che sono il cuore di una vera rivoluzione della Pa».
Che bilancio fa di questi primi dieci mesi di governo?
«Positivo perché siamo riusciti a mettere in cantiere molte riforme che entro la primavera saranno tutte approvate, interrompendo una catena di rinvii che dura da anni. E positivo anche perché abbiamo rotto un tabù con l’Europa, dimostrando che essere europeisti non significa sposare il rigore in modo acritico».