Perché chi si oppone ai vaccini non può essere convinto

del contrario. Le campagne di informazione possono risultare inefficaci e persino controproducenti perché falliscono nei confronti delle minoranze riluttanti

di Anna Meldolesi, Il Corriere della Sera, Pediatria

Il nemico numero uno dei vaccini è il loro stesso successo: finché terranno a bada le malattie infettive, infatti, potremo concederci il lusso di dimenticare quanto siano pericolosi i germi e sottovalutare l’importanza dell’immunizzazione. Il nemico numero due è la psicologia delle credenze.

La psicologia delle credenze

Chi è fortemente convinto di qualcosa, come la pericolosità della vaccinazione, tende a mettere in atto delle strategie cognitive il cui scopo è confermare le proprie convinzioni, anche a dispetto delle evidenze. Per questo le campagne di informazione possono risultare inefficaci e persino controproducenti: convincono solo chi è già predisposto a ricevere il messaggio, mentre falliscono nei confronti delle minoranze riluttanti. Ci sono persone che si fidano poco della “medicina scientifica”, magari sospettano condizionamenti e conflitti di interessi, o hanno sentito qualche storia preoccupante e si sono spaventate.

Studio su un gruppo di genitori

Qual è il modo migliore per parlarci? Degli studiosi americani hanno testato un campione di 1759 genitori. Li hanno divisi in quattro gruppi, a ognuno dei quali è stato indirizzato un messaggio diverso, e poi hanno misurato come era cambiata la loro propensione a vaccinare i figli. La prima strategia è stata informarli che la scienza ha smentito l’ipotesi di un nesso causale tra vaccinazione ed autismo. Questa bufala è uno dei cavalli di battaglia dei gruppi anti-vaccini ed è tornata di attualità in questi giorni per la sentenza di un tribunale italiano, contro cui il Ministero della salute ha deciso di presentare ricorso. Quando ricevono le informazioni corrette, le persone tendono ad abbandonare la falsa credenza, questo però non significa che diventino automaticamente più favorevoli alla vaccinazione. Molti infatti si limitano a cambiare le ragioni della contrarietà, spostando l’attenzione dall’autismo ad altri rischi (veri o presunti) dell’immunizzazione. La seconda strategia consisteva nell’informare i genitori della pericolosità delle malattie contro cui è prevista la vaccinazione, ma questo messaggio non ha migliorato la fiducia nei confronti dei vaccini. Là dove i numeri della scienza non arrivano, può arrivare il racconto di una madre che ha visto il figlio ammalarsi di una malattia prevenibile? Niente affatto, la strategia narrativa semmai ha spinto i riluttanti del terzo gruppo a enfatizzare gli effetti collaterali dei vaccini. L’ultima carta è stata mostrare delle fotografie di bambini non vaccinati che si sono ammalati: è vero che un’immagine vale più di mille parole? Non sempre, purtroppo. I più ostili infatti hanno reagito convincendosi ancor di più del legame tra vaccini e autismo.

Bisognerebbe testare anche le campagne di informazione

Il bilancio, scoraggiante, di questo studio pubblicato su “Pediatrics” è che nessuna delle strategie ha funzionato. Correggere le informazioni sbagliate non solo non ammorbidisce le resistenze, le può rafforzare. Per questo le campagne di informazione andrebbero testate, proprio come si fa per l’efficacia dei farmaci. Il sospetto è che l’approccio top-down debba essere sostituito da un contatto diretto, interattivo, umano con una figura di cui i genitori si fidano e che possa tarare il proprio messaggio sulle persone che si trova davanti. Il primo passo, insomma, dovrebbe essere quello di informare meglio medici di base e pediatri, non solo sull’ottimo rapporto rischi-benefici dei vaccini, ma anche sui tranelli psicologici della riluttanza a vaccinarsi.

27 novembre 2014 | 10:09

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