Landini cerca di annettersi i voti degli astenuti in Emilia

Il giorno dopo le elezioni si diffonde, ogni volta, il gioco delle tre tavolette. Ognuno dice la sua per ingigantire la sua vittoria o per smussare la sua sconfitta.

I più disinvolti, questa volta, sono stati Maurizio Landini (segretario dei metalmeccanici Fiom, della Cgil) e il premier Matteo Renzi. Il primo, Landini, con una singolare faccia tosta (che, in fondo, è un ingrediente essenziale del suo mestiere) si è attribuito per intero il merito di coloro che non hanno votato per il partito di Renzi perché, grazie alla mobilitazione delle Cgil, ha detto, essi hanno negato il voto a chi, Renzi, appunto, ha cercato di ridurre l'importanza e il ruolo della Cgil, licenziando la concertazione, attaccando la bandiera dall'articolo 18 alla quale non crede più nessuno (la Cgil, ad esempio, questa garanzia, non la applica a favore dei suoi dipendenti) ma che, essendo una bandiera, deve pur essere difesa, indipendentemente dalla sua validità (fra i dipendenti privati, i tutelati dall'art. 18 sono solo il 20% degli addetti).

Senonché Landini, come spiega bene Giorgio Ponziano a pagina 6, fa finta di non sapere che, da Mani pulite in poi (da quando cioè Renzi giocava ancora a Subbuteo), la percentuale del numero dei votanti sul totale degli aventi diritto al voto è sempre andato diminuendo rapidamente ad ogni competizione elettorale. Inoltre queste elezioni emiliane sono state tenute in anticipo, proprio perché il presidente precedente, Vasco Errani, Pd, si era dimesso dopo aver visto confermata in appello una sentenza penale di condanna. Inoltre Errani guidava una giunta regionale dove, su 50 componenti, 42 sono sotto inchiesta giudiziaria per appropriazione di beni pubblici (e un 43mo è morto). Si aggiunga inoltre che le Regioni vengono considerate, per di più in base a validi motivi, come un ente, non solo sciupone e dissipatore, ma anche, in sostanza, irriformabile.

Se a tutte queste motivazioni si aggiunge il fatto che la valvola di sfogo per la protesta che era stato rappresentato dal M5s è, per molti elettori, venuta a meno e quindi costoro, anziché dare il loro voto al M5s, hanno preferito stare a casa, visto che votando per Grillo le cose non sono cambiate, si capisce che l'aumento del non voto non è certo dovuto a Landini ma a un insieme di circostanze molto facilmente individuabili. Non a caso, anche in Calabria, dove Landini non ha certamente un grande radicamento e dove non ha detto di aver fatto la propaganda a tappeto che avrebbe invece dispiegato in Emilia, c'è stato,anche qui, un grande assenteismo. Le ragioni della protesta (e quindi anche del non voto) sono oggi ancor più avvertite perché, in un momento di crisi come quello che il paese sta vivendo, la classe politica e quella alto burocratica viene percepita, da gran parte della pubblica opinione, non solo proterva ma anche risoluta nel difendere, con ogni mezzo, le proprie rendite di posizione.

L'altro leader politico che non la racconta giusta è sicuramente il premier Matteo Renzi che ha preferito trarsi dall'impaccio, nel corso della sua visita di Stato in Austria, dicendo che «l'affluenza alle urne è un fatto secondario». Che il 63% degli elettori non vada a votare non è un dato di fatto ovvio e senza conseguenze politiche. Esso dimostra invece un pericoloso scollamento fra i cittadini e chi li dovrebbe rappresentare. Con un astensionismo di questa proporzioni infatti, al governo c'è, in ogni caso, la maggioranza della minoranza degli elettori. E questo non è un gioco di parole. Ma una tragica lesione della rappresentatività democratica. Va bene quindi rottamare il proprio partito alla ricerca di un rinnovamento che in effetti tardava ad affermarsi da solo (quello sinora usato da Renzi è una sorta di forcipe politico) ma non si può condividere anche la rottamazione (sia pure involontaria) della democrazia.

I non votanti esprimono il feeling di un paese privo di speranza. Un tempo, quando lo spirito religioso era più diffuso e i proverbi o le frasi fatte erano più usate, di un disperato si diceva che «non sa a che santo votarsi». Lo stato psicologico dell'italiano medio è proprio questo. Per raddrizzare un Stato indebolito dai troppi e prolungati attacchi alla diligenza (magari fatti in base anche a nobili motivi sociali o di redistribuzione del reddito) il cittadino normale le ha tentate tutte. In un paese ideologico e sostanzialmente catto-comunista, dove le appartenenze quindi contano, il cittadino normale, deragliando faticosamente dalla tradizione, ha persino votato per un partito diverso da quello da lui sempre votato. Poi, deluso dal modesto esito della sua libera uscita, ha smesso di votare. Poi ancora ha riguadagnato le urne, dando il suo diffidente consenso ai partiti che sembravano voler scuotere il tran tran dissipatorio, come, prima la Lega e poi i grillini. Visto che anche queste formazioni non hanno mosso nemmeno una paglia, il cittadino sfiduciato è ritornato a non esprimere il suo voto, astenendosi di nuovo, come in quest'ultima tornata di elezioni regionali. Ma questo andirivieni elettorale senza meta (e soprattutto senza risultati) è un macigno nella vita di qualsiasi paese. Altro che fatto secondario, caro Renzi.

Pierluigi Magnaschi Italia Oggi, 25.11.2014

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