Il calvario per i crediti IVA. E i contribuenti vessati

La normativa IVA prevede, per le società che, a seguito

della particolare attività svolta, si trovano costantemente in credito di IVA, di richiedere i rimborsi con cadenza trimestrale. Ma quando si prova a chiedere indietro ciò che spetta all'azienda, ecco che difficilmente si ottiene ciò che spetterebbe di diritto

Lunedì, 24 novembre 2014 - 10:30:00

di Guido Beltrame Affaroitaliani 23.11.2014

E’ successo nel nord-est; ma non è certo un caso isolato, la dimostrazione che, purtroppo, alle belle parole non seguono i fatti concreti. Contribuenti vessati, niente di nuovo. Ecco la, triste storia: la nostra normativa IVA prevede, per le società che, a seguito della particolare attività svolta si trovano costantemente in credito di IVA, di richiedere i rimborsi con cadenza trimestrale, proprio per consentire loro di contenere le tensioni finanziarie; queste aziende, infatti, anticipano pagamenti di IVA che, come detto per l’attività svolta, non possono compensare. L’elencazione delle tipologie di società che possono accedere a questa particolare disciplina è chiaro; una volta tanto, non ci sono dubbi interpretativi, tutto dovrebbe andare liscio e invece… e invece ecco che, ancora una volta, ci si mettono di mezzo i solerti funzionari dell’Agenzia delle Entrate!

Così, una società con tutti i requisiti, presenta richiesta di rimborso per il secondo trimestre, il funzionario (difficile trovare un aggettivo appropriato…) accoglie parzialmente la richiesta sostenendo che, nel conteggio, sono state incluse anche alcune fatture di acquisto datate 31 marzo. A nulla valgono le spiegazioni (ma servono delle spiegazioni?) che una fattura datata 31 marzo se proprio, proprio viaggia veloce la si riceve il primo aprile e, quindi, la si registra nel secondo trimestre. A nulla valgono le norme di legge che prevedono due anni di tempo (non due giorni…) per poter registrare una fattura di acquisto con, conseguente, IVA a credito. Nessuna spiegazione smuove il granitico funzionario. E allora ci si domanda: è questo il tanto declamato dialogo tra Agenzia e contribuenti sbandierato dalla direttrice Rossella Orlandi?

Ma la “beffa” non finisce qui. Sempre il solerte, collaborativo, comprensivo funzionario, davanti alle rimostranze del contribuente esce con una perla di saggezza: “caro contribuente, lei ha ragione ma la direzione ha deciso così…”. E così, grazie alla solerte, collaborativa, comprensiva Agenzia delle Entrate, il contribuente è obbligato a fare ricorso alla Commissione tributaria (costi e oneri a carico del contribuente e della collettività in generale). Sapete cosa riesce a scrivere l’Agenzia? “Nessun nocumento (sempre aulica l’Agenzia ndr) è stato arrecato al contribuente in quanto l’importo dell’IVA negata a rimborso avrebbe potuto essere richiesta a rimborso (pazienza le ripetizioni ndr) con la dichiarazione annuale l’anno seguente”. Viene da domandarsi: se non ci fosse nessun danno, perché è stata prevista la normativa dei rimborsi infrannuali con cadenza trimestrale? Se non vi è nessun “nocumento”, cari funzionari, facciamo che la prossima tredicesima del vostro stipendio del 2014 ve la ritroverete, regolarmente, in busta paga a dicembre 2015. Nessun nocumento tranquilli!! Fra un anno l’avrete.

La conclusione finale è, anch’essa, una triste dimostrazione di come le cose proprio non funzionino in questo malandato Paese. La Commissione tributaria accoglie in toto il ricorso del contribuente ma, come neanche il miglior Pilato sarebbe riuscito a fare, compensa le spese di giudizio tra contribuente e Agenzia. Perché davanti a simili palesi soprusi, i Giudici non riescono ad avere il coraggio di applicare fino in fondo la legge? In tutta questa triste vicenda, ancora una volta, è il contribuente l’unico ad avere avuto un danno economico e finanziario. Insomma niente di nuovo, purtroppo, sotto il sole. E la direttrice Orlandi continua a predicare, collaborazione e comprensione…

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