L’alto tradimento di Alto gradimento. Dall’uccello

Scarpantibus all’urlo «Patroclooo!», Bracardi ha creato

figure leggendarie per la trasmissione radio. Ma, accusa, se ne sono appropriati Arbore e Boncompagni

di Carlo Vulpio Il Corriere della Sera

«Chettefrega!», urlava ai suoi studenti il professor Aurelio Ovidio Marcellini, patriota monarchico tutto d’un pezzo, uno dei più riusciti personaggi degli oltre trenta inventati da Giorgio Bracardi. E invece, no. A Bracardi gliene frega. E pure parecchio. Perché anche se passano gli anni, certe ferite non si rimarginano.

Giorgio Bracardi non risponde al cliché dell’attore comico, che ride e fa ridere soltanto sulla scena, mentre nella vita vera è triste. Al contrario, per Bracardi — ottant’anni portati con invidiabile vitalità — la goliardia, il cazzeggio, lo scherzo, la caricatura, sono parte della propria vita, non soltanto maschera di scena. Sono un modo per non prendersi troppo sul serio che non è incompatibile con il buon gusto, la cultura, la musica. Ma anche l’attore comico, nonché grande pianista di musica jazz, Giorgio Bracardi, può arrabbiarsi sul serio. Succede quando si parla della paternità di Alto gradimento — la trasmissione radiofonica andata in onda dal 1970 al 1976 e giustamente celebrata come una delle migliori idee della storia della radio italiana pubblica e privata — che viene attribuita, anche da Wikipedia, soltanto ai suoi due conduttori, Gianni Boncompagni e Renzo Arbore. Ecco, quando sente questo, Bracardi s’infuria. E chiama il programma Alto tradimento.

«Per fortuna — dice Bracardi a “la Lettura” — ci sono i bollettini Siae e qualche causa vinta a dimostrare che gli autori di quella trasmissione sono, in parti uguali, quattro persone: i due già citati, il sottoscritto e Mario Marenco. E invece quei due se ne sono appropriati senza vergogna e ogni volta, quella più clamorosa è stata in tv, in occasione dei quarant’anni del programma, non perdono occasione di tagliar fuori me e Marenco, definendoci “collaboratori”. Ma è tutto il contrario. All’inizio, Alto gradimento era una trasmissione anonima, e Boncompagni e Arbore, il Gatto e la Volpe, non sapevano che pesci prendere, erano disperati».

Continua Bracardi: «È stato grazie a me prima, e a Marenco poi, se il programma è riuscito a prendere il volo. Già tre giorni dopo il mio arrivo, e questi sono fatti non opinioni, il centralino della Rai venne sommerso di telefonate. Il mio personaggio, Scarpantibus, improbabile e velocissimo uccellaccio che indossava gli scarponi senza lacci dell’esploratore che lo aveva scoperto nell’inesistente deserto del Nicaragua, aveva avuto così tanto successo che la Rai bandì un concorso per bambini, ai quali era richiesto di disegnare Scarpantibus dando sfogo alla propria immaginazione». Arrivarono migliaia di disegni, alcuni molto belli e molto originali, ma lo Scarpantibus per antonomasia resterà quello disegnato dal grande Jacovitti, che tradusse come meglio non si poteva il guizzo di genio di Bracardi.

Non ci sono questioni di quattrini di mezzo, su questo è anzi proprio Bracardi a dire a se stesso «Chettefrega!» (dei soldi). Ci sono invece rabbia e soprattutto amarezza. «Hanno tradito la nostra amicizia, dopo quarant’anni insieme — spiega Bracardi — ed è questa la cosa più brutta. Si sono rivelati solo due macchinette da soldi, due persone ciniche e venali, anche se il Gatto è di Arezzo, mentre la Volpe è di Foggia e si camuffa da galantuomo del Sud e cultore della buona musica, quando invece è soltanto uno strimpellatore, un massacratore di note e di armonie musicali. Bravo in radio e in tv, sì, anche se Quelli della notte non fu altro che la trasposizione televisiva di Alto gradimento, ma non più di tanti altri, che a differenza sua non sono stati raccomandati da Ettore Bernabei», l’ex direttore generale Rai, il più longevo in questa carica.

Per la verità, oltre che tradito come amico, Bracardi è stato anche diffamato come uomo, per la voce messa in giro (non si sa da chi, ma il fatto è notorio) che lo vorrebbe talmente risentito da essere un po’ «fuori di testa», e perciò poco credibile. «Un’infamia. Il fatto — dice lui, sorridendo — è che quando racconti certe cose, come questa di Alto gradimento, ed esprimi certe opinioni, sei immediatamente “segnalato” dai compagnucci del giro che conta. Per esempio, una delle cose che mi vengono maggiormente fatte pesare è l’aver io sostenuto che l’Italia sia il Paese dei furbi, ma senza essermi limitato alla generica e innocua enunciazione. Ho invece indicato con un acronimo, Abf, quelli che secondo me sono i prototipi dei furbi d’Italia: Arbore, Berlusconi, Fazio», cioè Fabio, il conduttore tv. «Berlusconi — aggiunge — però è un politico e quindi è ovvio che sia o debba essere furbo, ma gli altri due, Arbore e Fazio? Ma li vedete come fanno le faccette e si stendono come tappeti sotto i piedi dei loro interlocutori?».

Quattro fratelli (Federico, Maria Luisa, Wanda e Franco, indimenticato pianista del Costanzo Show), Giorgio Bracardi aveva sette anni quando suo padre — gestore del Teatro Margherita dove si fece conoscere Aldo Fabrizi — lo issò sulle spalle per fargli vedere meglio Mussolini, che quel giorno, il 10 giugno 1940, dal balcone di piazza Venezia portò l’Italia a sfracellarsi in guerra. «Del Duce, allora, tutti parlavano — ricorda Bracardi — quasi come di un’entità soprannaturale. Soltanto mia madre diceva: “Vedrete dove ci porterà questo esaltato”, mentre io osservavo i gerarchi che frequentavano casa nostra, come Bottai, Grandi e altri, e li trovavo comici per quel loro modo di parlare e di muoversi».

Ermanno Catenacci, quello del «Quando c’era Lui!», un altro dei grandi personaggi della galleria bracardiana, è nato lì. Ma casa Bracardi era frequentata anche da gente come Beniamino Gigli e da tanti altri musicisti e cantanti di alto livello, che hanno fatto appassionare alla musica Giorgio, il quale infatti negli anni Cinquanta comincia come «sostituto pianista» nei locali di via Veneto. Quando capitava che il pianista non si presentasse, chiamavano lui. E quasi sempre il rincalzo dimostrava di essere più bravo del titolare.

Poi emigra in Australia, fa il cameriere e il pianista anche lì, e fa ridere la compagnia con quell’idea bizzarra dello Scarpantibus, che alcuni anni più tardi farà la fortuna di Alto gradimento. Nel frattempo suona, in giro per l’Italia e per l’Europa, e con suo fratello Franco viene scritturato come compositore dalla prestigiosa Rca. Accompagna in tournée anche Jimmy Fontana, ma si vede che per lui il sacrificio, la dedizione, la professionalità non possano mai essere scissi dall’effetto comico, anche in caso di fatti spiacevoli. «Eravamo in Argentina, a Mar del Plata — racconta Bracardi — e Jimmy, come me grande appassionato di jazz, stava cantando la sua canzone di maggior successo, Il mondo, quando al momento del ritornello, “Il mondo non si è fermato mai un momento…”, becca una sassata su un occhio, barcolla e deve interrompere il concerto. Ci allarmammo per lui, che rischiò grosso, ma sono quelle cose che inevitabilmente fanno anche scattare la risata feroce…».

I personaggi inventati e interpretati da Giorgio Bracardi, tutti, la risata la fanno scattare sempre. Ma il professor Onorato Spadone («L’uomo è una bestia!»), il giornalista di provincia Max Vinella, ogni articolo del quale si conclude sempre con l’espressione «una furibonda colluttazione», oppure l’urlo-tormentone «Patroclooo!» di un improbabile Achille in camicia da notte che vaga in cerca del suo amico-fidanzato, o da ultimo, il cronista parlamentare Lucio Smentisco interpretato per Striscia la notizia senza risparmio di corna e pernacchie, sono soprattutto tipi «giusti» per rappresentare con l’ironia e lo sberleffo il carattere nazionale. Bracardi non rinnega nulla. Al contrario, rivendica. E quando, alla fine dei suoi concerti che ormai sono la sua seconda vita — titolo: Bracardi piano solo. I love jazz — dopo gli applausi gli chiedono di fare qualcuno dei suoi personaggi, lui sbotta: «Chettefrega!». Però poi lo fa.

23 novembre 2014 | 09:26

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