Usa, lo strano caso dei patrimoni Isis non sanzionati

Gli Stati Uniti non colpiscono banche e affari dei jihadisti.

E limitano i raid aerei. Le ragioni? Umanitarie. Ma così il Califfato cresce. Decapitato Kassig.

di Barbara Ciolli | 17 Novembre 2014 Lettera 43

Gli Stati Uniti riesumano le sanzioni contro la Russia. Continuano a punire pesantemente l'Iran come, sotto sanzioni, fu anche, per anni, l'Iraq di Saddam Hussein. Eppure non multano le banche dello Stato islamico.

Esiste una black list di membri e supporter del gruppo, inclusa una decina di sospetti foraggiatori. Il Dipartimento del Tesoro americano tiene d'occhio i jihadisti dell'Isis dalla fondazione, nel 2004, di al Qaeda in Iraq.

Nell'estate del 2014 gli Stati Uniti hanno anche congelato i beni di tre finanzieri chiave dei terroristi, uno dei quali accusato di veicolare il flusso di denaro dal Kuwait ai califfi.

Ma le banche saccheggiate a Mosul, seconda città dell'Iraq, per un bottino complessivo di oltre 400 milioni di dollari, e anche negli altri territori conquistati dai jihadisti, non sono citate tra le istituzioni da colpire.

LE ATTIVITÀ ISIS SONO PRODUTTIVE. Nella migliore delle ipotesi, gli Stati Uniti si rifiutano di legittimare internazionalmente il Califfato come Stato. Di conseguenza trattano le banche e i business dell'Isis come strutture assaltate, non operative come invece sono.

Imposta la sharia, i tribunali hanno ripreso a funzionare. Il territorio è stato suddiviso in governatorati. Pozzi e raffinerie petrolifere, prima dei bombardamenti, giravano a pieno regime. I cittadini sono stati tassati. E anche le casse delle banche presidiate dai miliziani, confermava a luglio il Financial Times, restavano piene di soldi.

8 MILIONI AL GIORNO PER I RAID. Video e immagini hanno immortalato i lussi dei capi di un Califfato, volenti o nolenti, che è realtà. Il presidente americano Barack Obama non fa che lamentarsi degli scarsi risultati dei raid in Siria e in Iraq. Più di 300 mila dollari all'ora, circa 8 milioni al giorno di spesa, ha calcolato il Pentagono, non hanno fermato i jihadisti.

L'Isis è un'organizzazione ricca, efficiente, più brava a fare montagne di soldi più di quanto non lo sia a fare la guerra. Perché, allora, gli Usa non ne colpiscono i grandi patrimoni?

Banche in funzione e milioni di dollari dal petrolio

Più che sulle donazioni da fuori, il Califfato ormai si regge sugli introiti dalle attività criminali, organizzate a livello imprenditoriale.

I taglieggiamenti alle attività e alle minoranze discriminate sono diventati fisco legalizzato. Il petrolio estratto e raffinato dai pozzi nei territori occupati viene rivenduto (come accadeva anche in precedenza) di contrabbando nei Paesi confinanti.

1.000 DOLLARI AI COMBATTENTI. Dai sequestri di persona, oggetto di un'offensiva mediatica, l'Isis ricava altri milioni di dollari, da redistribuire, oltre per il pagamento dei dipendenti: 1.000 dollari al mese per i combattenti, ha detto re Adbullah di Giordania, cioè oro per gli standard locali.

Chiudere le banche, colpire più incisivamente i finanzieri e gli intermediari dell'ingranaggio finanziario dell'Isis minerebbe il Califfato più delle bombe sganciate con il contagocce dall'inizio delle operazioni, l'8 agosto.

QUERELLE AL CONGRESSO. Il dibattito, come anticipato dal Foreign policy, è acceso al Congresso. Il 13 novembre, la Commissione sui Servizi finanziari della Camera si è riunita in udienza per «esaminare l'adeguatezza delle politiche bancarie internazionali alla lotta contro l'Isis e gruppi analoghi».

Il pressing è soprattutto dei repubblicani, che accusano Obama di mollezza e inazione.

In sua difesa, il Capo del dipartimento anti-terrorismo del Tesoro, David Cohen, si è giustificato dicendo di «lavorare con le autorità irachene, la Banca nazionale irachena, la comunità finanziaria internazionale e anche l'intelligence, per impedire ai jihadisti di impiegare le decine di sportelli bancari dei territori proclamati Califfato».

1 MILIONE AL GIORNO DAL PETROLIO. Un po' tardi, però. Cohen ha ammesso la gestione dell'Isis delle filiali occupate, «in declino» per le misure avviate dagli Usa. Le banche nella rete jihadista starebbero «perdendo il loro accesso al sistema finanziario internazionale».

A detta del Tesoro americano, i bombardamenti avrebbero anche ridotto «di diversi milioni di dollari alla settimana» gli incassi del Califfato dalla vendita illecita di petrolio. Un fatturato di circa 1 milione di dollari al giorno dalla presa di Mosul.

800 attacchi in tre mesi: raid inefficaci

La decisione di non intervenire duramente contro le banche dell'Isis sarebbe stata presa per andare incontro alla popolazione locale. In particolare, gli Stati Uniti avrebbero voluto evitare di ripetere l'errore della Somalia.

Bandire i qaedisti di al Shabab, nel 2010, come un gruppo terroristico ha aumentato la rabbia e la frustrazione dei somali stremati dalla carestia, spingendo a un'ulteriore radicalizzazione.

Nel Nord dell'Iraq marginalizzato dal governo sciita centrale, l'avvento del Califfato ha attratto parte della popolazione sunnita frustrata, come segnale di cambiamento e gli Usa non vogliono spingere le masse verso l'estremismo.

DUE PESI, DUE MISURE. «I jihadisti dell'Isis hanno soggiogato milioni di persone, che cercano di continuare a vivere le loro vite», ha spiegato Cohen. «Come tutti sanno, le banche sono lubrificatori importanti per l'economia. Non è nostro interesse spegnere tutte le attività economiche nelle aree in cui operano i jihadisti».

Ragionamento sensato, ineccepibile per chi, da anni, ricorda l'inutilità delle sanzioni nel far cadere i regimi e la loro efficacia, invece, nell'affamare le popolazioni. Ma allora perché gli Stati Uniti si preoccupano per gli iracheni e non per i russi? Per chi resta tra i siriani e non per gli iraniani?

I due pesi e le due misure valgono anche per l'Egitto, dove l'appoggio internazionale al golpe militare ha portato alla marginalizzazione e alla radicalizzazione dell'Islam.

GUERRA A BASSA INTENSITÀ. Strana guerra, quella americana contro il Califfato: in tre mesi, sono stati poco più di 800 attacchi aerei. Nulla rispetto alla Prima e alla Seconda guerra del Golfo e anche a 200 milioni di dollari al giorno buttati nella missione in Afghanistan.

Obama vuole spendere poco in benzina e bombe e investire molto nella formazione di militari iracheni. Una campagna a bassa intensità che, se non si bloccano i fondi all'Isis, può andare avanti a lungo, senza risultati concreti.

«I raid da soli possono fare poco contro lo Stato islamico», ha commentato pubblicamente il capo di Stato maggiore Ray Odierno. «Ci vorranno anni per degradare significativamente l'Isis».

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