Oggi parliamo di memoria, memoria del genocidio

armeno. Cos’è la memoria ? un ricordo,

la ripetizione di un fatto, un immagine o .. anche rivivere un evento drammatico, avvenuto 90

anni fa. Cerchiamo di capire perchè può essere importante e attuale parlarne oggi: per questo

dobbiamo farci alcune domande.

La prima domanda che ci poniamo è: CHI SONO GLI ARMENI ?

E’ un quesito che stuzzica un po’ di curiosità ed incertezza: la storia degli armeni è quella di

un popolo lontano, di tradizione millenaria, vissuto in una terra sempre contesa, crocevia di

popoli e culture tra Asia ed Europa.

Solo qualche spunto:

Ø Quella che chiamiamo “Armenia storica” è l’area geografica che ha la forma di un

triangolo che unisce il Mar Nero, il Mar Caspio e il Mar Mediterraneo; è la regione

dell’Anatolia interna situata tra il corso superiore del grande fiume Eufrate ed la grandiosa

catena del Caucaso: il suo cuore è l’altopiano del monte Ararat (“dove si posò l’arca”).

Ø Le radici storiche di questo popolo sono antichissime: il primo nucleo della nazione

armena “Hayastan”) risale al VII° Sec. A. C. Ai confini dell’Armenia si sono sviluppati e

succeduti nell’egemonia della regione grandi imperi: persiano, macedone, romano,

mongolo e ottomano. Sono stati pochi e brevi i periodi in cui l’Armenia ha goduto di

indipendenza politica. Insomma un piccolo popolo quasi sempre in minoranza con i potenti

vicini.

Ø Queste radici antiche ed una forte compattezza etnica ha portato gli armeni a lottare

sempre per salvare la propria identità contro il rischio di assimilazione, consentendo loro di

elaborare una cultura unica ed originalissima. In questa prospettiva vanno ricordati due

momenti decisivi: la conversione del popolo armeno al Cristianesimo (convenzionalmente

collocata ne 301 D.C.) e la creazione di un alfabeto armeno con caratteri originali ad opera

del monaco Santo Mesrob nel 404 D.C., stimolo per il fiorire di opere magnifiche nel

campo della letteratura (soprattutto la mistica), della miniatura, della scultura e

dell’architettura (con sublimi strutture in pietra che portò qualcuno a definire l’Armenia il

“paese delle pietre urlanti”).

La seconda domanda ci avvicina al tema drammatico del genocidio: CHI PARLA DEGLI

ARMENI E CHE SENSO HA PARLARNE ORA ?

Della scomparsa di questo popolo “leggendario” si sa poco o nulla: ma cosa accadde tra il

1915 ed il 1916? per quale ragione in poco più di 12 mesi un popolo che da più di 2000 anni

abitava quella terra venne annientato fino a non lasciare alcuna traccia ?

Non fu un’estinzione determinata da eventi naturali o da casualità storiche, bensì

l’epilogo di uno sterminio che fu pianificato e posto in essere da un preciso gruppo di potere,

per determinate ragioni storiche, politiche ed ideologiche e con l’intento di eliminare la

presenza fisica di un popolo e della sua cultura: questo successe agli armeni e per questo

parliamo di genocidio armeno !

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GLI ARMENI: UN GENOCIDIO DIMENTICATO

Quanto accennato potrebbe essere sufficiente per ritenere attuale la domanda iniziale: peraltro

pensiamo che questa domanda se la poneva già qualcuno in modo ben più sinistro: era un certo

Adolf Hitler che nel 1939 che, per superare le titubanze del suoi gerarchi di fronte al suo

progetto di sterminio degli ebrei, poneva la domanda retorica “chi ricorda più il massacro degli

armeni ?” spingendoli a non esitare visto che dopo soli 23 anni l’enormità del genocidio degli

armeni era già una vicenda rimossa.

Ø Se memoria è anzitutto conoscenza, cerchiamo di fare un piccolo sforzo di memoria

storica. I prodromi del genocidio armeno si devono cercare nei cambiamenti storici e

politici dell’800 all’interno dell’Impero Ottomano: era nel cuore di quest’ultimo, in

Anatolia, che gli Armeni vivevano. Fino ad allora, con fasi alterne, il popolo armeno, pur

minoranza cristiana in un contesto islamico, veniva considerato Millet-i Sadika (la

“comunità fedele”) e in questa condizione di subalternità all’interno di un solido regime

imperiale non corse alcun rischio. Questa situazione di debolezza risultò letale per gli

armeni solo quando l’Impero Ottomano cominciò la sua lunga crisi divenendo “il malato

d’Europa”. Qualcuno ebbe giustamente a dire che “nulla è più crudele e pericoloso di un

impero in agonia”. Ci furono spinte irredentiste dei popoli dell’impero (greci, bulgari e

anche armeni) mentre l’impero zarista premeva alla frontiera del Caucaso e in questo

drammatico frangente storico e politico la minoranza armena, con la sua collocazione nel

cuore dell’impero e la sua specifica identità culturale e religiosa divenne agli occhi del

governo turco una presenza scomoda e pericolosa, un capro espiatorio di un potere in

agonia. Le “prove generali” sono negli anni 1894-1896 quando il Sultano Abdul Hamid II°

(il “Sultano rosso”) scatena una violentissima campagna contro gli armeni provocando

300.000 morti.

Ø Il quadro si aggrava a partire dal 1908 con l’avvento al potere di un partito denominato

“Unione e Progresso” chiamato dall’Occidente il partito dei “Giovani Turchi”(a richiamare

le istanze di modernità di cui sembravano portatori). In realtà in questo gruppo di potere

prevale, fino a divenire dominante, un’ideologia nazionalistica, razzista e fanatica, che

perseguiva l’idea di un territorio dall’Anatolia all’Asia centrale abitato dalla sola stirpe

turca, etnicamente puro e quindi da “ripulire” di presenze di popoli diversi. Fu in questo

contesto che prese corpo il progetto di risolvere una volta per tutte la “questione armena”

ed eliminare la presenza di un popolo che ormai era visto come un ostacolo da rimuovere.

COME SI REALIZZO’ IL PIANO DI STERMINIO ?

Il genocidio ha come data d’inizio simbolica il 24 aprile 1915, in quanto l’avvio del progetto

predeterminato ebbe inizio proprio nella notte di quel giorno, nella città di Costantinopoli,

attuale Istanbul, con il rastrellamento sistematico degli intellettuali e dell’élite armena della

città. In un solo giorno scomparvero dalla comunità armena di Costantinopoli circa 270

persone appartenenti alla classe dirigente della loro nazione; l’operazione proseguì i giorni

seguenti e, in un mese, circa 600 intellettuali armeni, fra cui giornalisti, scrittori, poeti, medici,

avvocati e perfino deputati al Parlamento, vennero deportati all’interno dell’Anatolia e

massacrati per strada. La nazione intera si ritrovò così “decapitata”. Dopo la “voce” della

nazione, si procedette con l’eliminazione della “forza”. Gli uomini validi erano stati chiamati

alle armi a causa della guerra in atto, un decreto del gennaio 1915 aveva però stabilito il

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GLI ARMENI: UN GENOCIDIO DIMENTICATO

disarmo di tutti i militari armeni, che vennero costituiti in battaglioni del genio: a gruppi di 100

furono isolati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni, nessuno si salverà.

Immediatamente dopo, viene il turno del resto della popolazione. Ogni progetto di sterminio

ha bisogno di menzogne: i turchi per mascherare le loro intenzioni parlarono di “evacuazione

militarmente necessaria delle zone di guerra”, il piano presentava in tutte le province la stessa

procedura: eliminazione dei capi politici e dei notabili, perquisizioni e consegna delle armi,

arresti ed esecuzioni in massa degli uomini, infine deportazione di anziani, donne e bambini.

La destinazione apparente era la Mesopotamia, in realtà incolonnati e fatti camminare a piedi

per chilometri e chilometri di altopiani desertici, in pochi arrivarono a destinazione. Le

carovane si allungavano e si assottigliavano, sottoposte a furti, stupri, rapimenti e massacri

compiuti da curdi, fino alla distruzione dei convogli da parte dei cetè e delle guardie. Il resto fu

fatto dal caldo del giorno e dal freddo della notte, dalla denutrizione e dalle fatiche del viaggio.

PERCHE’ PARLIAMO DI GENOCIDIO DIMENTICATO ?

C’è un solo modo per combattere la memoria di un fatto: negarlo. Così fecero gli autori del

massacro degli armeni. Chi lo pianificò e lo realizzò ebbe infatti la preoccupazione fin da

subito di coprire la verità: si può dire che la negazione del genocidio andò di pari passo con la

sua esecuzione. Con il chiaro fine di negare la premeditazione del massacro, si cercò di

giustificare gli ordini di deportazione sfruttando l’opportunità della guerra, furono preparati

documenti ufficiali “buoni” copia di ordini di sterminio criptati e segreti, furono usati come

strumenti per i massacri le tribù curde dell’Anatolia per coprire le responsabilità dei funzionari

e delle guardie incaricate della deportazione.

Purtroppo è mancata nei governi successivi la capacità di prendere le distanze da questo

atteggiamento negazionista, anzi c’è fino ad oggi uno sforzo per rimuovere nella coscienza

della nazione il ricordo di questo evento.

Perché questo è successo?

Il negazionismo rappresenta il frutto maligno di quella ideologia nazionalista che allora

generò il piano di sterminio e che ora continua a produrre un duplice nefasto effetto: da

una parte impedisce al popolo armeno di lenire la ferita subita e lo costringe a dimostrare, oltre

l’evidenza, la verità di quei fatti, dall’altra, corrispondentemente, fa divenire il genocidio

armeno un tabù per il popolo turco, rendendo quest’ultimo incapace di accettare la propria

storia e di liberarsi dalle oscurità del proprio passato, spezzando soprattutto una storia

millenaria di convivenza di due popoli nella stessa terra.

Ora capiamo meglio cosa significa fare memoria di un evento come questo.

Di fronte a quello che fu il primo genocidio del ‘900, un genocidio negato e dimenticato,

ricordarlo è prima di tutto una necessità morale. Non come un fatto perso in un passato

lontano ma un evento che ci interpella in modo forte, ci chiama a una memoria viva e

condivisa.

Ø Viva perché nutrita dall’ansia di conoscere quello che successe e perché porta con sé

un desiderio di scoperta non solo della tragedia di questo popolo ma della sua ricchissima

storia e cultura (genocidio insomma come “filo spezzato” che trascina nel silenzio una

storia millenaria).

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GLI ARMENI: UN GENOCIDIO DIMENTICATO

Ø Memoria condivisa perché consente a ciascuno di noi di sentirsi chiamato a conoscere

e fare sapere, al di là delle appartenenze e delle ideologie; ci consegna insomma una

drammatica e splendida responsabilità di essere testimoni, nel senso di portatori di una

consapevolezza del perché alcuni eventi si sono ripetuti e potranno ancora ripetersi (un

genocidio senza condanna porterà sempre il rischio di diventare una forte suggestione).

Diventare testimoni significa dunque accettare un percorso di memoria che ricerca un

filo comune nelle grandi tragedie che il secolo scorso ci ha lasciato in eredità.

Ma non sarà attraverso la condotta dei carnefici che riusciremo a costruire analogie e

confronti: sono le vittime di tutti i genocidi del ‘900, uniti in una fraternità che è di luce e

sangue insieme, che gridano la stessa verità: quella di un male che in certi momenti trova la

forza di condurre l’uomo nell’abisso, nella sua parte oscura. Un male che prende il volto del

potere invasato da ideologie fanatiche e si abbatte sull’innocente. Un male che non si fa

riconoscere subito e mostra sempre una perfida abilità nel cogliere pretesti e opportunità che

certi contesti storici ed l’interessato silenzio dei “Grandi” del momento gli offrono. La vittima

è lì, assalita dalla furia omicida, va incontro al suo destino prima incredula poi, se sopravvive,

con lo straziante fardello del ricordo. E’ un ricordo che ha portato molti alla pazzia e, sempre,

un bisogno di rimuoverlo per superare il profondo senso di colpa di essere sopravvissuti.

Il testimone è chi decide di raccogliere questo silenzio delle vittime, chi preferisce non

volgere lo sguardo altrove ed è consapevole di come la posta in gioco sono quei valori di

rispetto e convivenza su cui costruire il nostro destino del domani.

Mario, 1.9.2014 

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