Lo sciopero è impopolare. Dalla Rai ai
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trasporti, così un diritto è diventato un lusso sospetto
Scioperare stanca, ma sopra tutto sta diventando impopolare. Se non una lezione, c’è per lo meno un segnale significativo da cogliere nei tentennamenti dei sindacati in lotta contro la revisione della spesa a Viale Mazzini preannunciata dal governo. Mai, prima d’ora, uno sciopero in Rai è stato così controverso e generatore di ripensamenti espliciti, quasi che la tradizionale forma di protesta nel settore pubblico sia d’improvviso invecchiata. C’entra naturalmente il fatto che gli interessati dovrebbero scioperare contro un governo a trazione democratica. Conta il recente bagno di gloria elettorale del premier Matteo Renzi. Ma c’è di più. Basta guardare in casa di Susanna Camusso, con la Cgil assalita da uno scetticismo amletico intorno alla residuale efficacia dello sciopero generale. Già nel dicembre scorso, il segretario del primo sindacato italiano aveva tradito alcuni suoi dubbi al riguardo. Di lì altre manovre tattiche dilatorie che hanno interessato anche Cisl e Uil, e che ora riemergono con maggiore forza sul dossier Rai. L’altro lato della questione, poi, riguarda la percezione della forma-sciopero che si sta facendo largo nella così detta opinione pubblica: una risacca d’insofferenza, quando non di risentimento aggressivo, accoglie ormai nelle principali città ogni blocco del trasporto pubblico. Di là da circostanze e ordini di grandezza differenti, la sensazione è che lo sciopero stia involvendo in una pratica polverosa e castale perfino: era il sintomo rumoroso di un malanno sociale, l’extrema ratio del lavoro dipendente aggredito da provvedimenti iniqui, adesso appare invece come un rifugio dei privilegiati. Un lusso incomprensibile e che non possiamo più permetterci. I sindacati dovranno trarne le conseguenze.
4 giugno 2014 - ore 06:59
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