Napolitano chiede serenità, ma si dimentica
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di alcune sue distrazioni
Giorgio Napolitano ha lanciato un appello alla serenità, che naturalmente è assolutamente fondato, ma lo ha fatto con uno stile che fa trasparire la sua personale sfiducia nella possibilità che il suo monito venga accolto e persino una sorta di stanchezza per l’obbligo, cui si sente comunque tenuto, di predicare virtù dimenticate in un deserto di sostanziale disinteresse. La battaglia politica, non solo in questa fase elettorale, è tornata ad assumere come tono di fondo la delegittimazione degli avversari e, in molti casi, il disprezzo aperto per le istituzioni nazionali ed europee.
Persino quando si registrano sintonie importanti, per esempio sull’esigenza di intervenire finalmente con riforme istituzionali incisive, come quella che si è registrata negli incontri tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, pare che i protagonisti debbano vergognarsene, spiegando, come in un modo o nell’altro hanno fatto ambedue i protagonisti del dialogo, che per le riforme ci si può intendere “anche con il diavolo”.
Questo e altri esempi, per non parlare della campagna di odio distruttivo esplicitamente sostenuta da Beppe Grillo, bastano e avanzano a giustificare la preoccupazione del presidente della Repubblica.
Forse, però, anche Napolitano dovrebbe domandarsi se, dal suo ruolo arbitrale, diventato centrale e propulsivo nell’ultima fase, abbia fatto egli stesso tutto il possibile per creare le condizioni minime che permettano un confronto politico almeno civile, se non proprio sereno.
Alla delegittimazione delle rappresentanze politiche ha contribuito potentemente il protagonismo delle procure e un uso spregiudicato delle inchieste giudiziarie, l’uso incontrollato delle intercettazioni sulla vita privata, poi diffuse senza alcun rispetto per i diritti della persona, anche quando non avevano nulla a che fare con reati perseguiti. Il presidente della Repubblica e del Csm ha in varie occasioni criticato questo andazzo, e quando l’uso ingiustificato delle intercettazioni ha lambito il Quirinale ha giustamente chiesto e ottenuto dalla Corte costituzionale una riprovazione del comportamento della procura palermitana. In altri casi, invece, è apparso distratto, il che è stato interpretato forse da settori della magistratura come il segnale che, una volta rispettate le prerogative costituzionali del Quirinale, la caccia era libera. Si è arrivati al punto che la Corte di cassazione, nell’accettare il verdetto della Consulta sul segreto di stato, ha commentato acidamente quel giudizio, che per un organo giudiziario dovrebbe essere insindacabile.
Se persino la Suprema corte si può comportare come un partito, senza che il presidente della Repubblica la inviti perentoriamente al rispetto degli organi costituzionali, significa che non si è messo un argine alla costante usurpazione, da parte della magistratura, di poteri e responsabilità che competono ad altri organi dello stato.
Naturalmente non si può imputare al capo dello stato una condizione di squilibrio che si è creata negli anni e che la politica nel suo insieme non è riuscita a contrastare con opportune riforme.
Tuttavia è ragionevole domandarsi se l’uomo politico più esperto e autorevole, proprio perché attorno si trova soggetti che per un verso o per l’altro esercitano una leadership controversa, avrebbe potuto imprimere una svolta attraverso atti concreti capaci di promuovere non solo in modo retorico la pacificazione che è la base indispensabile per una competizione serena. Uno dei temi più critici affiorati nel corso della campagna elettorale riguarda l’indipendenza nazionale (di cui il capo dello stato è rappresentante e garante secondo il dettato costituzionale) condizionata in forme non simmetriche da una sorta di “concerto” europeo che in qualche momento ha assunto i lineamenti di una congiura. Solo nell’ultimo periodo Napolitano ha rammentato ai partner europei l’esigenza di un cambiamento di linea e di un rispetto delle esigenze nazionali italiane. In passato la preoccupazione per evitare punizioni aveva prevalso e così il Quirinale era apparso disattento nei confronti delle pressioni formidabili esercitate, anche in forme discutibili, per condizionare le scelte politiche ed economiche interne dell’Italia.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 23 maggio 2014 - ore 11:35