Altri marine arrivano a Sigonella. La Libia è una
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minaccia e l’Europa se ne occupa troppo poco
Circa 180 marine, due KC-130 e quattro Ospreys sono stati spostati martedì dal sud della Spagna a Sigonella. La base in Sicilia è strategica per le operazioni nel nord dell’Africa e i militari hanno spiegato che il team è pronto per rispondere a “emergenze di sicurezza” che sono rimaste inspiegate. Non che ci volesse una dichiarazione pubblica per capire che la preoccupazione maggiore è la Libia e in particolare l’ambasciata americana lì, che dall’attacco a Bengasi nel 2012 è in costante allarme. Ci sono minacce, ci sono legami sempre più stretti con il terrorismo di tutta la regione: la Libia è stata definita la “Woodstock del jihad” dal Daily Beast, per riassumere una instabilità violenta che perdura dalla caduta del regime di Gheddafi. L’attacco di Bengasi ha causato un trauma agli Stati Uniti che ancora non è stato assorbito, anche perché si è trasformato in un caso politico che sta avvelenando il dibattito tra conservatori e la Casa Bianca, con conseguenze sul futuro di Hillary Clinton, che allora era il segretario di stato. Ci furono gravi falle nell’intelligence, prima di tutto, e poi nella gestione operativa dell’emergenza, con il tentativo di Washington di trattare il caso come un episodio feroce ma isolato, quando invece faceva parte di una ben più ampia – e nota – minaccia jihadista. La situazione oggi è ancora più pericolosa: all’instabilità politica – i premier a Tripoli non riescono a resistere più di qualche mese – si aggiunge la perdurante divisione del paese, con il boicottaggio ai pozzi petroliferi e i continui scontri con le forze islamiste.
Ecco perché i marine sono arrivati a Sigonella, ed ecco perché anche l’Europa, che nella caduta di Gheddafi ebbe un ruolo decisivo, dovrebbe occuparsi con maggiore impegno – e con una strategia – alla ricostruzione della Libia, così vicina e così fuori controllo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 16 maggio 2014 - ore 06:59