Pedinando una rissa in procura. Qualche
- Dettagli
- Categoria: Firme
domanda senza risposta su quel che succede a Milano
Lo scontro interno alla procura di Milano si intreccia con le rumorose inchieste in corso e vi proietta riflessi confusi e domande cruciali. Il procuratore Edmondo Bruti Liberati, accusato davanti al Csm dal suo vice, Alfredo Robledo, di aver gestito in modo improprio l’assegnazione delle inchieste, prima lo ha di fatto escluso dal “filone Expo” e ora attacca sostenendo che con i suoi comportamenti (c’è persino un “doppio pedinamento” degno dell’ispettore Clouseau nella interpretazione di Peter Sellers), Robledo ha “determinato un reiterato intralcio alle indagini”. Il che configurerebbe addirittura un reato penale. Molte cose non vanno, da tempo, e alcune domande restano inevase: perché mai è stata la responsabile dell’antimafia Ilda Boccassini a occuparsi del caso Ruby e delle turbative d’asta di Expo, mentre il responsabile di questo dipartimento, appunto Robledo, ne veniva tenuto fuori? Il dubbio che la gran madre di tutte le battaglie ambrosiane sia il presunto (o casuale) “insabbiamento” del fascicolo sulla Sea, forse imbarazzante per la giunta milanese di Giuliano Pisapia (quella che si vanta di non essere “mai citata” per Expo), è da molti condiviso. Ed è stato notato che la tornata elettorale e la scadenza di un grande evento mettono sempre in fibrillazione le procure. Un po’ meno è stato sottolineato che a Palazzo di Giustizia vige una discrezionalità non normata da alcuno. La verità è che la procura di Milano, che si presenta da vent’anni come la custode delle regole che non guarda in faccia nessuno, non rispetta invece al proprio interno le regole di un ordinato funzionamento degli uffici. Il procuratore vanta in sostanza un diritto discrezionale nell’assegnazione dei casi, in base alla sua responsabilità gerarchica, ma quando Robledo ha cominciato a contestarlo ha fatto valere il suo peso nella corrente di Magistratura democratica. Non gerarchia formale, ma appartenenza politica.
Da anni una procura che si arroga una gestione delle inchieste costruita sulla finzione giuridica dell’obbligatorietà dell’azione penale, vive di un meccanismo di governo interno in cui gli elementi di discrezionalità sono prevalenti. Robledo, forse per spirito anarchicamente indisciplinato, forse per una specie di estremismo giustizialista, ancora è difficile capire, ha però infranto la regola aurea non scritta del potere giudiziario, così s’è spezzato l’incantesimo e le miserie di una lotta di potere tra gruppi di magistrati sono venute allo scoperto. Il primo effetto è che il Csm, finora di fatto soggetto all’egemonia della procura milanese, recupera la sua funzione gerarchica. Si può sospettare che l’enfasi posta sulle indagini in corso serva anche a spostare l’attenzione da questi aspetti. Vedremo chi ne farà le spese.
© - FOGLIO QUOTIDIANO,1 4 maggio 2014 - ore 21:30